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DAFFINA: dietro le quinte dell'affare Cheng-Feng

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 24-11-2013 - Ore 10:30

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DAFFINA: dietro le quinte dell'affare Cheng-Feng

Come riporta l'edizione odierna del Corriere dello Sport c'è Alessandro Daffina,  amministratore delegato di Rothschild Italia, dietro le quinte dell'affare Cheng-Feng. E’ stato sempre lui il vero protagonista della cessione riuscita della Roma alla cordata statunitense guidata da James Pallotta. 

Riproponiamo l'intervista che Alessandro Daffina ha rilasciato in esclusiva a Insideroma lo scorso marzo quando ci aveva raccontato come è nato ed è stato gestito l'intero "affaire" che ha portato all'ingresso (il 16 aprile 2011) di James Pallotta & soci nell'azionariato del club di Trigoria.

(Esclusiva Insideroma.com) Per la prima volta Alessandro Daffina, amministratore delegato di Rothschild Italia, banca d'investimenti di profilo internazionale ed advisor di Unicredit nella vendita dell'asset AS Roma, ha rilasciato una intervista, in cui ha spiegato, punto per punto, come è nato ed è stato gestito l'intero "affaire" che ha portato all'ingresso (lo scorso 16 aprile 2011) di James Pallotta & soci nell'azionariato del club di Trigoria.
Un'intervista che traccia uno "stato dell'arte" non solo del calcio, ma anche dell'intero Sistema-Paese, su cui riflettere e far riflettere gli addetti ai lavori di questo mercato (considerato a torto o a ragione la 6a industria italiana). L'intervista in esame (nella sua versione integrale) sarà parte di un libro ("La Zona Franca"), edito nei prossimi mesi dalla Castelvecchi. Un'esclusiva assoluta per l'informazione giornalistica italiana, oltre che per il debutto della nostra testata.

 

D) Partendo dalla storia di questa trattativa, quali sono state le problematiche che avete trovato nell'individuazione di soggetti interessati all'acquisto dell'asset AS Roma?

R) La problematica numero uno è stata la scrematura dei soggetti interessati. Il calcio attrae tutto e di tutto, soprattutto in Italia. Quindi, per una società come la Roma, che ha un bacino di utenza non di secondo livello, la preoccupazione maggiore era di non mettersi in una trattativa con soggetti che avrebbero potuto creare noie al processo stesso, per non parlare delle conseguenze negative sulla squadra. C'è stata grande attenzione, pertanto, su tutti gli interlocutori coinvolti.

D) Che tipo di soggetti avrebbero potuto avvicinarsi alla trattativa?

R) Soggetti che utilizzano una squadra per pubblicità, per pulire una immagine (o losca o poca chiara) o per esercitare un potere sul territorio.

D) E questo rischio era reale?

R) Sì, certo. Perchè sa quando si possiede una squadra come la AS Roma, con più di 2 milioni di tifosi, puoi avere un certo peso.

Guardi, per esempio, il caso della famiglia Sensi. Persone perbene che hanno fatto delle scelte, giuste o sbagliate che siano, ma eravamo di fronte a persone corrette. Hanno anche pagato per queste scelte, ma se la famiglia Sensi fosse stata sostituita con persone poco chiare certamente il risultato non sarebbe stato positivo.

D) Si sono avvicinati personaggi strani?

R) I personaggi "strani" non si avvicinano mai direttamente, ma sempre attraverso intermediari. Sa quando vedevamo che l'intermediario era lo studio legale di un paesino è chiaro che faceva pensare subito male.

Ma come non hanno la consapevolezza che non era il caso, tra prezzo di acquisto e costi di una gestione di una squadra di calcio? Magari in quei posti non c'erano neppure le risorse per muoversi su un'operazione così importante. In questi casi mi creda non abbiamo neppure risposto. La banca Unicredit è stata sempre molto attenta e non ha mai permesso che si avvicinassero personaggi poco credibili o inopportuni.

D) Qual è stato il peso del mercato estero (in termini di soggetti credibili) in questa trattativa?

R) Più o meno il 50%.

D) Rotschild è una società di profilo internazionale. Molti addetti ai lavori speravano di vedere grandi società straniere interessate all'asset AS Roma. Perchè, a posteriori, questo non è avvenuto?

R) La Roma, come qualunque altra società di calcio italiana, ha il problema del Paese. Oggi come oggi non c'è una crisi di investimento sulle squadre tricolori, ma c'è soprattutto una crisi di Paese. Un soggetto estero che vuole investire nel calcio italiano ti chiede una struttura dei costi sotto controllo ed una struttura dei ricavi equilibrata. Le componenti dei ricavi sono: biglietteria (ricavi da stadio), merchandising, diritti tv e sponsorizzazioni. Sui diritti tv non c'è nulla da dire, siamo tra i Paesi top (l'advisor della Lega per la serie A è il leader di mercato internazionale Infront, nda). Sul merchandising, per esempio, le racconto un aneddoto che ci ha coinvolto proprio con la famiglia Sensi.

D) Ma la famiglia Sensi ha collaborato durante la fase di vendita?

R) Sì, certo. Assolutamente. Ci hanno aiutato a venderla al meglio.

D) Si spieghi meglio...

R) Una volta ho criticato Rosella Sensi perchè i numeri delle magliette vendute della Roma non erano elevati. Mi rispose: Daffina faccia una prova. Giri tra le bancarelle vicino all'Olimpico. Vendono le magliette, ma non sono le nostre ufficiali. Se proverà a chiamare un vigile per bloccarle, si arriverà ad un nulla di fatto, perchè il merchandising non viene tutelato.

D) Questo ha pesato sulla trattativa finale, e in che termini percentuali?

R) Beh pesa! C'è da pensare soprattutto ai margini di manovra per un investitore interessato a un club di calcio italiano. Il merchandising pesa anche perchè non è protetto e non abbiamo potuto valorizzarlo in sede di trattativa, come avremmo voluto, con gli acquirenti potenziali.  

 

D) E quanto ha pesato non poter vantare uno stadio di proprietà?

R) Lo stadio è un'altra componente significativa di revenue. In Italia tutto è difficile. Si pensi solo alla legge sugli stadi bloccata nell'ultima legislatura. Tutto fermo, per non parlare dei tempi biblici. Si individua un'area, ma i tempi autorizzativi si allungano costantemente. Un giorno questi stadi verranno costruiti, ma fino ad oggi si è vissuto in una totale incertezza. Quando abbiamo iniziato a vendere l'AS Roma, anche in presenza di un DDL (disegno di legge, ndr) sugli stadi, c'era un progetto di impianto, una licenza edilizia in funzione del numero dei posti, eppure alla fine si è arrivato ad un nulla di fatto. Speriamo che, prima o poi, si arrivi ad un testo di legge utile, ma potrebbe essere anche dannoso.  Bisognerà vedere cosa ci sarà scritto una volta approvato. Mi auguro che sia utile per i players presenti sul mercato. In Italia vengono spesso a mancare due grandi componenti: ricavi da merchandising e da stadio. Poi c'è il capitolo sponsorizzazioni.

D) Si spieghi meglio.

R) Innanzitutto, c'è una concorrenza molto forte tra squadre di calcio italiane per avere i grandi nomi. Non essendo il nostro Paese una piattaforma internazionale per attrarre investimenti come Francia, Inghilterra e Germania, purtroppo questi mercati vengono prima in termini di preferenze a livello di sponsoring. Molte aziende internazionali preferiscono investire in Premier league, perchè la lingua è la stessa, perchè hanno l'headquarter a Londra, perchè la Premiership britannica viene trasmessa in tutto il mondo e così via. Questi elementi determinano la scelta di un mercato a favore di un altro. Sono mercati, quelli stranieri, dove, tra l'altro, è più facile raggiungere il break-even  (punto di pareggio, ndr) e questo pesa sulle scelte sponsorizzative.

D) Quindi è difficile vendere un club tricolore?

R) In linea di principio ritengo che le squadre italiane di calcio siano invendibili.

D) Ce lo conferma?

R) Certo, le squadre tricolori sono invendibili, perchè sono costruite su piedi di argilla. Hanno strutture di ricavi che non stanno in piedi, così come a livello di costi, e lo Stato, che dovrebbe in qualche modo creare delle condizioni di sviluppo, non ti aiuta. Livelli di tassazione più alti di altri Paesi, non ci sono tutele sul fronte del mercato del merchandising, per non parlare dei problemi di ordine pubblico più marcati rispetto ad altri Paesi. Respiri sempre un clima poco piacevole. Se vai, invece, all'Allianz Arena, in Germania, tanto per parlare di un impianto straniero, ci si trova di fronte ad un gioiello di tecnologia e comfort. Ti vergogni quasi di essere italiano.

D) Ma questa percezione negativa del nostro Paese l'aveva anche prima, giusto?

R) Sì.

D) Sin dall'inizio immaginava di venderla a stranieri o ad investitori italiani?

R) Assolutamente, solo a stranieri.

D) Perchè?

R) Questo aspetto è stato anche un motivo di scontro con Rosella Sensi (ex presidente dell'AS Roma, ndr), perchè una squadra di calcio, secondo me non può essere nelle mani di una famiglia, in un contesto dove non ci sono ricavi e la struttura dei costi è fuori controllo. Se fossimo almeno in un regime di Fair Play Finanziario, dove tutti puntano a ridurre concretamente i costi, già sarebbe diverso. Guardi cosa è successo nella F.1, dove nonostante il volume del business si è cercato di ridurre i costi in media di tutti i team. Un esempio concreto rispetto al mondo del pallone. 

D) Ma c'è stato qualche imprenditore italiano/romano che si è fatto avanti?

Ho sperato anche di attirare l'interesse di grandi gruppi e imprenditori italiani alla fine qualcuno secondo me, non faccio nome perchè è antipatico, qualcuno che poteva andare avanti c'è stato (anche in ambienti italiani/romani) però alla fine non ha proseguito per l'eccessiva esposizione del calcio e per il timore di rimanere con il "cerino in mano". Ovvero lievitazione dei costi, spendere un sacco di soldi e l'impossibilità di passare la proprietà ad un altro soggetto. Di fare la fine di Semarato a Lecce, che per anni (6-10 anni) ha provato a venderlo. Con la differenza che a Lecce te la cavi con 10 milioni di euro, a Roma devi investire ogni anni cifre molto più importanti. Qualche imprenditore romano era anche interessato, ma alla fine ha desistito, anche per il peso del tifo a RomaTifosi, forse anche aizzati da qualcuno, si sono messi di traverso, come nel caso di Angelucci.

 

D) Perchè non c'è mai stato mai un grande gruppo internazionale interessato ad usare l'AS Roma come "grimaldello" per entrare ed espandersi sul mercato italiano?

R) Questo ragionamento ovvio si fa spesso nel mondo degli affari. Investo nello sport, mi espando e mi faccio conoscere dal mercato di riferimento. In Italia, purtroppo, non abbiamo una cultura dell'investimento; non siamo in grado di trarre vantaggio da una serie di asset che abbiamo già a disposizione. Non siamo in grado di utilizzare al meglio, per esempio, i milioni di turisti che visitano la nostra penisola. Pensi solo al turismo. Abbiamo il 45% del patrimonio culturale classificato dall'Unesco eppure i nostri flussi turistici sono inferiori alla Spagna, con tutto rispetto per questo Paese.

Se onestamente uno straniero mi dovesse chiedere: "Se faccio questo tipo di investimento cosa mi si apre?". Sa qual è la risposta? Non si apre niente, anzi si chiudono le opportunità. Non siamo in grado di svilupparle, purtroppo.

D) Questa considerazione è sulla linea dell'invendibilità dei club italiani?

R) Confermo, sono club invendibili. Al limite vendere un club piccolo è più semplice. Si opera facendo un accordo con l'amministrazione comunale, si può eventualmente costruire uno stadio e mettere in campo un pò di edilizia residenziale insieme alla realizzazione di un centro commerciale. Un'operazione, che, insieme al ridotto costo di gestione della squadra, può essere sostenibile, anzi ci può essere un guadagno.

Ma quando parli di grandi cifre è un altro discorso. Secondo lei un qatariota, un russo, che ha tanti soldi, mette da noi 400 milioni di euro come nella Premier league? Al massimo, mi creda, mette 100 milioni di euro, non oltre. Anche i 100 milioni di euro che puoi mettere sulla AS Roma devono essere supportati dalle condizioni giuste.

D) Nel caso del club giallorosso (e non solo) quali sono queste condizioni?

R) Lo stadio di proprietà, la tutela del merchandising, un pò di aziende-partner interessate al mercato romano, il controllo dell'ordine pubblico negli stadi, l'applicazione del Fair play finanziario. Quando ciò sarà realizzato cambierà tutto in Italia.

D) Quindi gli americani stanno portando avanti una grande scommessa, perchè di fatto queste condizioni non esistono.

R) No, non ci sono attualmente queste condizioni. Ma quando li conobbi, la prima volta, mi colpirono per una serie di idee commerciali e marketing abbastanza innovative.

D) Chi, nello specifico?

R) Per esempio Thomas R. Di Benedetto, con una serie di proposte, frutto di un team di lavoro. Era una mentalità nuova e colpì sia il sottoscritto, che Paolo Fiorentino (vice-direttore generale Unicredit). La squadra, inoltre, ha dei costi molto inferiori al passato, si punta molto sui giovani, sul vivaio. Il trend è in fieri, ma ritengo che la strada sia quella giusta.

D) Ma c'è il rischio che i soci americani, se le condizioni in esame non si dovessero avverare, tornino un giorno in America?

R) Questo vale per tutti, mi creda.

D) Gli americani sono sicuramente degli imprenditori. Nella logica di chi fa impresa non si può perdere anno dopo anno, giusto?

R) Sì, certo.

D) Anche Rothschild Italia sul mercato tricolore deve fare utili, tanti utili.

R) E' fondamentale, certo.

D) Quanto può durare questa continua ricapitalizzazione? C'è un rischio di uscita se non dovessero vedere i ricavi attesi o qualcosa di concreto?

R) Assolutamente. E' come dice lei.

D) Perchè non sono mai usciti, al termine della trattativa, i nomi degli altri "competitor" della cordata americana?

R) I nomi usciti sui giornali sono tutti veri. I nomi sono quelli. Poi c'è chi si è fermato subito dopo aver visionato le carte, altri hanno continuato.

D) Ma alla fine è rimasto deluso dal mercato? Vi aspettavate un maggior numero di soggetti interessati?

R) E' difficile rispondere. Normalmente, quando vendiamo un'azienda si può essere soddisfatti di un portfolio di cinque offerte. Se ciò avviene è un buon risultato. Anche considerando il mercato storico (oggi sarebbe anche più difficile), è stato duro trovare delle motivazioni per l'investimento, se facciamo riferimento a chi era interessato all'AS Roma.

D) Perchè?

R) Ripeto, in Italia non si può promettere (ad un potenziale investitore) di vendere magliette, perchè non c'è tutela del merchandising, non si può dire che attrai gli sponsor più importanti della terra, non si può portare la famiglia, perchè alle partite ci vanno principalmente uomini, che, a loro volta, hanno timore di portare i figli. Spesso gli stadi sono mezzi vuoti e parti dell'impianto (circa il 15%) sono riservate alla sola tifoseria della squadra avversaria. Queste cose si vedono solo da noi. In Inghilterra gli hoolingans sono stati sconfitti oltre 30 anni fa, da noi ci sono ancora problemi di ordine pubblico.

D) Ma vi siete concertati con altre filiali Rothschild per la possibile individuazione di investitori?

R) Il gruppo era molto contento, perchè quando sulla carta hai mandato a vendere l'AS Roma, hai a disposizione un bel marchio. Gli americani stanno facendo un investimento rischioso, ma hanno anche il know-how, la competenza per un turn-around della situazione. E' più facile che la Roma si sostenga economicamente se è nelle mani di un americano che di un Caltagirone, per esempio. Perchè Francesco Caltagirone è un imprenditore prelavalentemente italiano, ed uno dei più bravi, ma il suo mercato di riferimento è quello e in Italia non cambi nulla. Cos'è che ti può cambiare con una dirigenza americana? L'organizzazione di tournée all'estero (portare la Roma a giocare in altre metropoli straniere, nda), come avviene, per esempio, quando il Real Madrid vola sui mercati arabi (circa 10-15 mln a partita) o in Albania (Milan e Real Madrid incassano per amichevoli di lusso assegni pari a 2-3 milioni di euro). Se la Roma già ne prendesse 3 di milioni potrebbe pagare due anni di ingaggio di un buon calciatore.

D) Di tutte le ipotesi sul tavolo quella degli americani era la migliore?

R) Assolutamente.

D) Sono quelli che poi alla fine si sono presi il rischio?

R) Sì, assolutamente.

D) Lei rifarebbe questa consulenza tornando indietro?

R) Per me è stato appassionante.

D) Pure per fede calcistica?

R) Assolutamente. C'era la voglia di fare il meglio possibile anche per quello.

D) L'ha presa quasi come una "causa"?

R) Sì l'abbiamo presa come una causa. Per l'amore del cielo siamo stati pagati per farlo. Va benissimo Poi con Unicredit abbiamo lavorato benissimo. Dall'altra parte Paolo Fiorentino, l'avv. Roberto Cappelli (attuale consigliere AS Roma), sono appassionati quanto lo è il sottoscritto. Unicredit ha cercato di fare il meglio, da una parte doveva tutelare la posizione creditoria nei confronti della famiglia Sensi, dall'altra non voleva svilire un asset in una città dove Unicredit ha un peso importante, perchè non ti puoi ritrovare i tifosi sotto le sedi bancarie.

D) C'è spazio in Italia per acquistare club da parte di singoli imprenditori, come spesso è avvenuto nel passato?

R) Se vuoi competere in un campionato di calcio italiano devi avere una buona legge sul fair play finanziario, ma anche quella ti cristallizza dei punti di partenza. E' diverso per un grande gruppo che presenta un consolidato, perchè in questo caso si scaricano le perdite. Se sei un individuo, come fai. Io ad un mio cliente non consiglierei mai di acquistare una squadra di calcio.

D) Perchè gli americani non hanno spinto per prendere il 100% dell'AS Roma?

R) Perchè Unicredit ha voluto dare un segnale di volontà di accompagnamento dell'operazione. Il nostro Paese è molto complesso, soprattutto, agli occhi di un investitore straniero. Una volta un mio amico neozelandese mi disse: "Guarda Alessandro non ti offendere, ma agli occhi di un neozelandese Roma è più vicina al Cairo che a Londra".

Se arrivi in Italia e leggi un quotidiano trovi sparatorie, rapine, su un tabloid inglese non trovi (in media) questa tipologia di notizie. Agli occhi di un soggetto estero, soprattutto se parliamo di anglosassoni, l'Italia assomiglia ad un gran casino.

Unicredit ha fatto anche un ragionamento del tipo: questi sono bravi (gli americani, nda), non oggi, ma tra 3-4 anni posso rivendere la mia parte societaria facendo un buon affare, che dipenderà dalla capacità degli stessi americani di proiettare l'AS Roma in un contesto internazionale.

D) Ma entro quanto tempo può vendere Unicredit la propria parte azionaria?

R) Non saprei, ma prevedo che possa rivendere ad un partner asiatico, prima, però, il club dovrà essere fortemente internazionalizzato.

D) Perchè Unicredit non è riuscita a intercettare un grande investitore europeo, magari anche cliente?

R) Un soggetto straniero vede l'Italia come un Paese più rischioso di altri. Unicredit con questa operazione ha voluto, in qualche modo, cristallizzare le sue perdite. Non vuole rimanere con un cordone ombelicale, lo è per il 40%, ma prima o poi verrà tagliato.

Un soggetto estero che non è motivato, che volesse essere finanziato, amplificherebbe la situazione soprattutto se dovesse uscire dall'investimento dopo appena 1-2 anni. Questo per fortuna non è successo, nel caso degli americani.

D) Come vede la situazione da qui a 10 anni?

R) Vedo la Roma che ha vinto 5 scudetti, il valore della Roma raddoppiato rispetto ai valori attuali e gli americani sono usciti dalla società.

D) Parla da tifoso!

R) No, sono ben impostati.

D) Ma sarà straniero o italiano il nuovo proprietario tra 10 anni? Che lingua parlerà?

R) Auspico una persona intelligente e con un cuore che batte sempre più giallorosso.

D) Ma la rifarebbe questa operazione di vendita?

R) Sì, certo.

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