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De Rossi-Totti, figli di una Roma diversa

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 18-06-2013 - Ore 18:30

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De Rossi-Totti, figli di una Roma diversa

(eurosport.com) Che Roma sia una città unica, è la storia a dirlo. Che quella di Roma, mediaticamente, sia la piazza più complicata d’Italia, è la storia recente a raccontarcelo. La tecnologia ha rivoluzionato e cambiato questa professione come pochi altri eventi nella storia e le conseguenze su Roma, da questo punto di vista, sono un caso socio-mediatico piuttosto interessante. Nella Capitale sono nate – e si sono moltiplicate – le prime talk radio sportive, sono proliferati a dismisura i siti web monotematici e i freepress – categoria più che mai in crisi oggi come oggi – sopravvivono come da poche altri parti. Insomma, a Roma si mangia, respira e vive di calcio 24 ore al giorno, alimentati da una rivalità tanto viscerale quanto (spesso) pericolosa che rende l’ambiente, per chi viene da fuori, qualcosa di unico ma che rende la piazza, inevitabilmente, un luogo incredibilmente complicato, dove tutti hanno un’opinione, una notizia, o semplicemente una pagina bianca da riempire con qualcosa.

E’ questo che mediaticamente rende speciale la città; com’è questo che calcisticamente la rende così difficile da essere guidata. Tra viverla per qualche giorno e passarci un’intera vita c’è infatti tutta la differenza del mondo e quelle pressioni, quel chiacchiericcio, giorno dopo giorno possono essere devastanti anche per chi ci è nato, cresciuto e di conseguenza dovrebbe essersi fatto gli anticorpi.

Ecco perché le ultime parole di Daniele De Rossi, (non a caso) lontano un oceano e mezza Europa da casa, sono destinate ad essere una nuova bomba pronta a esplodere in città. L’ultimo sfogo del centrocampista della Roma ha infatti qualcosa di diverso dalla sparata, dalla frase buttata lì in una delle tante conferenze stampa. Per la prima volta nella sua storia di predestinato, De Rossi, ha manifestato un disagio per la città, per l’ambiente, per il sistema che regola il meccanismo mediatico capitolino che non può passare inosservato. De Rossi ha usato parole e rifermenti che vanno al di là del calcio. Dietro “calunnie” ed “etichette vergognose” si nasconde un concetto che, inevitabilmente, è la chiave di tutti i problemi di rendimento del centrocampista della nazionale in questa stagione: la scarsa serenità.

Le questioni con gli allenatori – pro Luis Enrique (come dimostrato per l’ennesima volte dalle parole a favore di Garcia “mi ricorda Luis Enrique e dal mio punto di vista parte col piede giusto”) e non esattamente a favore di Zeman – ma soprattutto il travagliato rinnovo contrattuale, sono probabilmente gli aspetti chiave della vicenda. De Rossi è stato più che mai chiacchierato, discusso, da alcuni anche contestato per un rinnovo che a livello di tempistiche non è stato un granché digerito ma, soprattutto, contrattualmente, lo pone in una situazione complicata. Come Francesco Totti, infatti, De Rossi rappresenta l’eccezione nel monte ingaggi della Roma e, proprio per questo, lo carica di responsabilità che per gli occhi della piazza – e non solo – sono tanto intrinseche quanto insostenibili per il giocatore. De Rossi paga più che mai un tintinnio che il tam-tam mediatico ha trasformato in qualcosa di probabilmente più grande di quanto non fosse. E’ vero, De Rossi ci ha pensato, ha realmente creduto che la sua strada potesse essere a Manchester con Mancini, così come nei primi anni del nuovo millennio Francesco Totti pensò che Milano (le avances di Berlusconi) e soprattutto Madrid potessero essere una nuova casa. Là non se ne fece nulla, come nulla si è fatto ora.

La differenza tra i due casi però, più di dieci anni dopo, è legata a un doppio filo che punisce solo De Rossi. Mentre Totti, supportato da una classe cristallina che gli ha salvato la faccia in campo più e più volte, è sempre stato difeso in massa da un ambiente che a livello comunicativo era certamente diverso, De Rossi paga un chiaro gap di talento nei confronti del Pupone che non gli ha permesso di “salvare” la stagione e l’ha messo sotto il fuoco mediatico (contemporaneo) di una città che, incapace di comprendere tutto ciò, ha spesso fatto riferimento al rapporto contratto/prestazioni.

Daniele De Rossi non sarà mai Francesco Totti (un po’ come Claudio Marchisio non sarà mai Alessandro Del Piero a Torino) e Roma, proseguendo nella sua bulimia di calcio e chiacchiericcio, rischia di fare la figura di Saturno: una città che, non ancora del tutto sicura di potersi fidare del proprio figlio, decide di divorarselo.

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