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La leggenda di Francesco Totti non finirà mai

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 29-05-2017 - Ore 12:19

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La leggenda di Francesco Totti non finirà mai

MASSIMO DE CARIDI - Ebbene sì. Quella contro il Genoa è stata la tua ultima partita con la maglia della Roma. La casacca che sin da bambino ho amato, per la quale ho discusso e ho litigato tante volte e che tu, Francesco Totti, hai onorato per 24 anni e per quasi 20 ne sei stato un grande esempio di capitano. Pensatela come vi pare, sinceramente mi interessa il giusto. Essere tifosi di Totti e tifosi della Roma è la stessa cosa, come recitava il meraviglioso striscione che campeggiava in Curva Sud: TOTTI E’ LA ROMA! Il resto è una guerra mediatica che non mi appassiona. Le magie in campo hanno fatto emozionare gli amanti del calcio e spellare le mani ai sostenitori della Roma, hanno fatto arrabbiare gli avversari, che però ora hanno dovuto rendere omaggio a quello che è, perché con Totti il verbo va sempre coniugato al presente o al massimo al futuro, il più grande calciatore italiano. Potevi vincere scudetti, Champions League, scarpe e palloni d’oro a ripetizione, saresti stato considerato uno dei primi 10 giocatori della storia del calcio ed invece hai preferito dedicare la tua carriera alla Roma. Hai preferito vincere poco o niente ed ingoiare tanti bocconi amari, sentirti dare del “palazzinaro”, dell’”arricchito con la Roma”, quando il 90% del marketing giallorosso ha sempre riguardato te (sia con i Sensi che con gli americani) e gli sponsor personali ti hanno sommerso di danaro, del “finito” nel 2006 dopo quel maledetto infortunio che ha rischiato di compromettere la tua immensa carriera ma la tua forza di volontà è stata più grande, hai vinto un Mondiale proprio in quell’anno e la stagione seguente la scarpa d’oro con tante viti nella caviglia da poterci costruire il ponte sullo Stretto di Messina. Il giorno del terzo scudetto della Roma, il primo pensiero dopo il tuo gol è stato quello di andare a festeggiare sotto la Curva Sud e tornando a centrocampo hai urlato: “è vostro”, indicando la gente romanista in festa. La poesia delle tue giocate ti ha reso celebre in tutto il mondo, nonostante qualcuno abbia detto che eri famoso solo all’interno del Grande (ma forse intendeva Immenso) Raccordo Anulare, il tuo “cucchiaio” ti ha dato un primo segno distintivo e non potevi che esordire con questo gesto segnando a Gianluigi Buffon (il più forte portiere al mondo e tuo amico) e hai voluto esagerare perché hai realizzato questa rete col sinistro, che definire il tuo “piede meno buono” è un oltraggio. Una pioggia di parole favolose è arrivata dai più grandi di questo meraviglioso sport e, tra questi, quelle del migliore della storia: Diego Armando Maradona. “El Pide de Oro” ha detto che sei il più forte giocatore che abbia mai visto e se lo ha detto lui, forse, ci si potrebbe credere. I tuoi assist fatti di prima e senza guardare sono diventati un altro tuo marchio di fabbrica in un repertorio vastissimo. Cassano ha detto che quel gesto prima o poi lo hanno provato tutti i migliori ma nessuno lo sa fare come te. A proposito, che coppia che eravate! Peccato per come sia finita ma i vostri dialoghi in campo erano paragonabili a quelli di Dante e Virgilio, perché in questo sport avete scritto pagine divine. Quel ragazzo di Porta Metronia ha esordito con Boskov ed è stato cresciuto sotto l’ala protettiva di Mazzone, si è palesato ai tifosi romanisti quando si è procurato un rigore in un derby pochi minuti dopo il suo ingresso in campo e da lì in poi ha scritto un’enciclopedia calcistica grazie ai suoi piedi fatati. Carlos Bianchi, tecnico argentino, voleva cederlo alla Sampdoria per prendere il pur bravo Litmanen ma Franco Sensi si oppose dopo averlo visto giocare in un torneo proprio contro la squadra del finlandese, l’Ajax e fu determinante perché la storia con i giallorossi non si interrompesse. Poi ci sono stati Zeman, mister che lo ha fatto maturare fisicamente e che lo ha sempre aiutato nella crescita sportiva, Capello con cui ha vinto un campionato ed una supercoppa italiana, i 4 allenatori in una stagione complicata, Spalletti, che lo ha consacrato come centravanti ma con cui ha avuto sempre un rapporto conflittuale, Ranieri con cui condivideva l’amore per la Roma e con cui ha quasi vinto uno scudetto, quindi la gestione americana con Luis Enrique, lo Zeman-bis, Andreazzoli per pochi mesi, Garcia e, storia recente, nuovamente Spalletti. Quando uno è all’apice del successo, tutti lo esaltano ma purtroppo, Roma è la città del “Nemo profeta in patria” ed anche Giulio Cesare è stato tradito dal suo figlio adottivo ed ucciso e così, quando il re non è più nel suo massimo splendore, si comincia a screditarlo dall’interno per detronizzarlo: sono i corsi ed i ricorsi storici di cui parlava Giambattista Vico e che si possono tranquillamente adattare al nostro moderno “pane et circensis”. A Roma si passa da un estremo all’altro, c’è chi è orgoglioso che tu abbia indossato solo la maglia giallorossa e già quando vestivi quella azzurra dell’Italia storceva il naso (lo confesso, tra questi ci sono anche io) a chi, invece, dice che se fossi andato al Milan o al Real Madrid, avresti sì vinto di più ma non avresti avuto la stessa cassa mediatica e che saresti durato un paio d’anni. Le stesse persone sono quelle che dicono: “Io tifo solo la maglia”, slogan molto bello ma se dentro la casacca giallorossa c’è Totti io mi sento più forte. La storia della Roma è lunga 90 anni, c’è stato un prima e ci sarà un dopo ma il “durante” ha fatto amare il calcio a tanti che di questo sport non sono particolarmente appassionati. Laura Macchi, una delle più grandi cestiste italiane con un passato nella WNBA, lo ha confermato. Recentemente, è stata in visita a Trigoria e ha parlato proprio del capitano della Roma, dicendo che è un simbolo non solo per il calcio ma per lo sport in generale, stessa frase ripetuta dalla nuotatrice Federica Pellegrini. Guardare Totti giocare è come leggere un capolavoro letterario o fare una scoperta scientifica straordinaria. Certo, non si cambia il mondo con il pallone ma vedere la rete segnata a Genova contro la Sampdoria proprio l’anno della scarpa d’oro o quella a San Siro contro l’Inter, dà brividi forti anche per chi è supporter della squadra avversaria. La mentalità italiana non è come quella inglese, si fa più fatica a riconoscere il merito di un giocatore “nemico” ma in quelle circostanze, i tifosi blucerchiati e nerazzurri non hanno potuto far altro che inchinarsi davanti alla grandezza di un’opera d’arte, come quando si è al Prado di Madrid davanti al Guernica o al Louvre di Parigi e si ammira la Gioconda. In quell’occasione ha contato poco chi ha fatto quel gesto tecnico ma cosa ha trasmesso in chi l’ha ammirato. Totti ha scritto la storia del calcio italiano con le sue 307 reti in maglia romanista, di cui 250 in campionato. Non ha raggiunto Silvio Piola, che ha giocato in un calcio molto più scolastico di quello moderno, però Totti ha cominciato a giocare da centravanti solo nel 2004 con Capello, ben 10 anni dopo il suo primo gol. Prima, il suo gioco era finalizzato a mandare in rete il compagno, dando un momento di gloria anche a chi una rete non l’avrebbe mai segnata neanche se le porte fossero state di 20 metri e se si fosse giocato senza portiere. Una narrazione che ha pochi riscontri con la realtà dice che Totti non ha mai sopportato i grandi campioni, perché gli avrebbero fatto ombra. E’ lo stesso numero 10 giallorosso (sì, per me sarà sempre “il Capitano” ed “il numero 10 della Roma”, senza nulla togliere a chi indosserà la fascia dalla prossima stagione o a chi raccoglierà l’altrettanto pesante eredità di indossare quella maglia così sacra) a smentire queste dicerie molto provinciali messe in giro ad arte, quando afferma che è stato proprio lui a chiamare il “Peq” Pizarro, Luca Toni anni prima del suo arrivo, Cannavaro, Buffon e tanti altri per convincerli a venire alla Roma per vincere. Beckham ha confessato che sarebbe potuto venire nella Capitale quando giocava negli Stati Uniti e che uno dei motivi sarebbe stato quello di giocare con una leggenda come Totti. La parola “leggenda” nei confronti di Totti è stato pronunciata anche da chi la storia di questo sport l’ha fatta come Raul Gonzalez Blanco, storico capitano del Real Madrid o Marcelo, terzino brasiliano dei blancos, che ha scritto che racconterà ai suoi figli di aver visto giocare Totti. Comprensibile come l’altra parte del Tevere abbia sempre cercato di screditarlo (loro a pieno titolo), lo sberleffo se non maleducato è una delle caratteristiche del cittadino romano ma “la diminutio” nei suoi confronti ha sempre cozzato con la realtà dei fatti. Totti è, ovviamente, il calciatore ad aver perso più derby nella storia della Roma ma è anche quello che ha segnato più gol nella stracittadina, cosa assolutamente normale la prima grazie alla lunga militanza romanista (cosa mai accaduta a nessun calciatore della Lazio, men che meno uno romano), mentre la seconda è sempre dovuta al suo quarto di secolo con la maglia giallorossa ma soprattutto all’immensa classe di questo giocatore-gioiello. Delle 11 reti segnate ai biancocelesti nelle stracittadine, a mio avviso, la più bella non è quella nell’1-5 che ha segnato a Peruzzi (per le grandi firme ha quasi sempre scelto grandi portieri, vedi anche Buffon e Julio Cesar) ma quella con cui sigla il 2-2 a 38 anni e 4 mesi, a completamento di una doppietta che rimonta una sfida che sembrava persa. Quella semirovesciata da posizione laterale che manda il pallone sul palo opposto è qualcosa di poetico anche se poi si è parlato più del selfie successivo con lo sfondo della Curva Sud in festa. Negli anni, Totti è sempre rimasto piuttosto timido e riservato ma ha mantenuto anche una chiave ironica e scanzonata tipica del romano, che lo hanno reso un personaggio positivo ed amato anche nel resto d’Italia. I libri di barzellette su se stesso, grazie ad una grande campagna di comunicazione di Maurizio Costanzo, gli spot della Vodafone prima con Gattuso e poi con la moglie Ilary, i suoi passaggi televisivi nei talk show serali hanno fatto cambiare l’immagine di Totti da “coatto di periferia” (a causa di qualche reazione sconsiderata come il calcio a Balotelli o lo sputo a Polusen), come veniva definito ad “istrione” ed "icona". Per il suo finale di carriera si sarebbe potuto fare meglio. E’ un peccato che l’ultima stagione sia stata così tormentata sia per il rapporto conflittuale col tecnico, sia per la sua voglia di continuare a giocare, che si scontravano col parere della società, che lo avrebbe visto e lo vedrebbe bene come dirigente, magari prima al fianco di un personaggio importante come Monchi e poi chissà, anche con un ruolo di maggior prestigio. Nei panni di qualunque allenatore avesse dovuto gestire il Capitano in questa stagione, la scelta di mandarlo in campo, per quanto tempo ed in che ruolo, non sarebbe stata facile neanche per il "Barone" Niels Liedholm, bravissimo gestore anche dei casi più spinosi. Forse, in alcune partite più “abbordabili” sia in campionato che nelle coppe, Totti sarebbe potuto partire dall’inizio o avrebbe potuto giocare almeno un tempo e questo avrebbe permesso a Dzeko o ad un’altra punta di rifiatare un po’ in una stagione lunghissima a causa dei 3 impegni settimanali e del dover giocare in Europa di giovedì in trasferte abbastanza dispendiose da un punto di vista di energie fisiche e mentali. Magari, concedere qualche scampolo di gara in più in palcoscenici importanti come San Siro contro il Milan a risultato acquisito per ricevere la standing ovation dei milanisti, da sempre amanti dei grandi numeri 10, poteva esser un bel gesto. Dall’altra parte, però, ci sarebbe comunque stato chi avrebbe chiesto qualche minuto in più o anche la titolarità anche nei match più delicati. Purtroppo, il “tifare Roma” sta passando in secondo piano rispetto al “tifare la propria idea”. Se neanche il più grande vanto che i romanisti possono concedersi come giocatore della loro quasi centenaria storia riesce ad unirli, è probabile che ci sia qualcosa di sbagliato e da sistemare. Intanto, da oggi la Roma ha perso la sua “Stella Cometa” ma la leggenda di Francesco Totti non finirà mai e sarà una gioia infinita poter raccontare ai propri figli e nipoti di aver visto giocare dal vivo questo fenomeno. Auguri per il tuo futuro, Capitano e grazie di tutto!

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