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Malagò prepara il finale: “Tavecchio, troppe cambiali ma in questa corsa l’epilogo sarà a sorpresa”

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 05-08-2014 - Ore 10:13

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Malagò prepara il finale: “Tavecchio, troppe cambiali ma in questa corsa l’epilogo sarà a sorpresa”

Da questa storia, che ormai è diventata un thriller, mi aspetto un finale a sorpresa. Magari entro l’11 agosto, magari subito dopo. Di certo il calcio italiano va resettato». L’inno di Mameli, la suoneria dell’iphone di Giovanni Malagò, riempie i saloni del palazzo H del Foro Italico a intervalli regolari. Più o meno ogni cinque minuti. Del resto, il numero uno del Coni, in un momento come questo, con la poltrona di presidente della Figc in bilico tra “Carlo Tavecchio l’impresentabile” e “Demetrio Albertini l’outsider dei poteri forti”, deve essere sempre sul pezzo.

C’è di mezzo l’immagine internazionale del calcio italiano, uno degli ultimi prodotti d’esportazione del paese. Di buono c’è che quando chiude la telefonata, Malagò riesce quasi sempre a ripescare il punto esatto in cui si era interrotta la conversazione.
«Dicevamo? Ah sì, del finale a sorpresa. Non posso dire altro. Solo che mercoledì stacco tutto e vado in ferie, ma ho pronto un piano b: se serve rientro subito a Roma. Il senso di responsabilità prima di tutto».

Ecco, presidente Malagò. La responsabilità. Dopo i mondiali, il calcio è un’azienda tecnicamente fallita. Sparatorie davanti agli stadi, curve in mano agli ultrà, procuratori padroni, pagamenti in nero, dichiarazioni farneticanti. Quest’anno tra Serie A e Serie B ci saranno tre squadre con i capitani coinvolti nel calcioscommesse. E l’unica risposta che il movimento ha saputo dare è “Tavecchio”.

Lei, da presidente del Coni, non prova un po’ di vergogna?
«Tutto quello che sta succedendo mi imbarazza moltissimo ».

E quindi?
«Resettiamo tutto».

Con Tavecchio 71 anni passati nel sottobosco del calcio o Albertini, già vice presidente di Abete?
«Il programma di Tavecchio è coraggioso e innovativo. Io però gli ho detto che non riuscirà ad attuarlo. Gli ho detto che ha troppe cambiali da pagare».

Si riferisce ai rapporti con i suoi sponsor? Galliani e Lotito?
«Gli ho detto che le sue idee non sono conciliabili con queste cambiali. Lui mi ha giurato che non ha vincoli con nessuno, stiamo a vedere. Per ciò che riguarda Albertini, la sua candidatura e la sua vittoria sarebbero di per sé una grande novità. Ma ritengo difficile il suo successo».

Dunque, resetteremo con Tavecchio, quello dei “negri mangiabanane”. Provi a dare una risposta all’obbiezione di Daniele De Rossi (“quindi il prossimo anno quando voglio insultare un ragazzo di colore posso dargli del mangiabanane”).
«Premesso che in questa fase le parole pronunciate da un giocatore della Roma o della Juve (grandi sponsor di Albertini, ndr) hanno un sapore diverso da quelle pronunciate da un giocatore della Lazio o del Milan (elettori di Tavecchio, ndr), non posso che ammettere che quanto detto da De Rossi è da incorniciare nella cassazione della giustizia sportiva ».

Ritiene che Tavecchio debba essere deferito per il bananagate?
«Direi che se ne deve occupare Palazzi».

Quindi il capo della procura della Federcalcio. Il tenore delle parole di Tavecchio era discriminatorio?
«Il concetto espresso da Tavecchio era assolutamente sensato, l’espressione era del tutto inaccettabile. Il contenuto discriminatorio era in linea con le frasi lette la scorsa stagione su alcuni striscioni delle curve che hanno generato dibattito».

Non pensa che sia ridicolo ridurre il tema della presidenza della Figc alla sola frase sulla banana. O alla rete di Godin, il giocatore dell’Uruguay il cui gol ha eliminato l’Italia dai mondiali?
«Credo che occorra parlare di tutto quello che c’è stato prima del campionato del mondo. C’erano le premesse per fare cose importanti per il movimento. Ma si è persa l’occasione. Comunque ritengo che Abete si sarebbe dimesso comunque per motivi personali. Non per questo il suo gesto è stato meno nobile, però».

Dica la verità, lei tifa per l’ipotesi commissariamento?
«Sarebbe un’ipotesi positiva perché potrebbe realizzare cose che un presidente eletto non riuscirebbe nemmeno a proporre. Sarebbe invece negativa perché creerebbe un precedente pericoloso nel non rispettare l’autonomia della Federazione».

Non crede che questa storia dell’autonomia sia ormai diventata un modo per non assumersi la responsabilità di dire: “Siete incapaci”, oppure: “Abbiamo fallito”. «Io la devo comunque rispettare ». Grazie all’”autonomia” gli ultimi presidenti eletti sono stati Carraro (Calciopoli) e Abete (Calcioscommesse), e ora, a sentire lei, con ogni probabilità Tavecchio.
«A parte che secondo me nemmeno un veggente riuscirebbe a prevedere l’esito di questa partita e che secondo me succederà qualcosa di grosso subito dopo le elezioni. A parte questo, il calcio deve porsi il problema della complessità del ruolo di presidente federale. Vi chiedo, fatemi voi il nome di un buon presidente. Ma attenzione, deve essere uno che viene a Roma a lavorare 12 ore al giorno in cambio di 36mila euro lorde. Con tutta la pressione del caso, e con l’obbligo di trovare il consenso di un movimento vastissimo ».

Non è il caso di riformarlo un sistema del genere? All’estero, in fondo, non sarà così diversa la realtà. Eppure ce l’hanno fatta.
«In Germania hanno messo il sistema in mano a grandi ex calciatori che dopo l’attività sono diventati grandi dirigenti. Calciatori- dirigenti sono l’ideale, non hanno bisogno di soldi e conoscono il sistema. Da noi i calciatori sono diversi: salvo rare eccezioni appena vedono i soldi pensano che non serva altro. Negli altri sport non è così. Gli atleti studiano, si creano percorsi paralleli. I calciatori no. Restano ignoranti».

Lei da presidente del Coni che cosa ha fatto per migliorare questa situazione?
«Sto cercando di favorire in tutti i modi la double career, che sta sfondando in tutte le federazioni tranne che nel calcio. Cammarelle (boxe) sta studiando management olimpico, e anche la Quintavalle (judo) e la Sensini (surf) studiano management sportivo. I calciatori nemmeno si laureano».

Insomma è colpa loro, non dei dirigenti che hanno creato un mondo retto da regole selvagge.
«La colpa è di un Paese che non ha cultura sportiva».

Dal primo giorno del suo mandato ad oggi il calcio non è migliorato di una virgola, anzi è peggiorato. Che senso ha un presidente del Coni con le mani legate dalla burocrazia?
«Il calcio non è migliorato, è vero. Ma io ho fatto presente che doveva migliorare. E, laddove potevo, sono intervenuto: giustizia sportiva, contributi alle federazioni, politica sportiva. Oggi il calcio è un mondo isolato nello sport italiano».

Il finale a sorpresa è il commissariamento?
«Non posso dirlo».

Ha già la squadra pronta?
«No. Ma sarei un pazzo se non ci stessi pensando»

Fonte: LA REPUBBLICA (M. MENSURATI)

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