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Oddi: "La finale di Coppa Campioni? Non ho giocato perché non avevo i bioritmi giusti"

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 25-11-2014 - Ore 14:44

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Oddi:

Emidio Oddi, a 58 anni, ex giocatore della Roma di Liedholm, ricorda quella storica finale di Coppa Campioni, che non giocò perché "il mago di Busto Arsizio consigliò al Barone di far giocare Nappi". Questo e non aver vinto la "coppa dalle grandi orecchie" sono i rimpianti più grandi della carriera di Oddi. Fu il periodo migliore della carriera del terzino che oggi vive a Martinsicuro.

"Me la ricordo come se fosse ieri quella notte. Tutta. A Roma era tutto pronto per fare festa, che ambiente! Ma noi sapevamo che sarebbe stata dura".

Oddi, perché non ha giocato?
"La verità? Non avevo i bioritmi giusti".

Che cosa significa?
"Nils Liedholm, il Barone, si fidava di quello che noi chiamavamo il "mago", tale Mario Maggi da Busto Arsizio. E nel dubbio se far giocare Tizio o Caio chiedeva al "mago". Il ballottaggio era tra me e Nappi".

Scusi, ma che cosa sta dicendo?
"La verità, quella che tutti sapevano nell'ambiente. Anche se non usciva fuori".

E lei?
"Schiumavo di rabbia, mi sentivo bene".

E invece…
"Ho sofferto in panchina".

Liedholm si fidava di un "mago"?
"Proprio così, nel dubbio chiedeva a questo personaggio. Le racconto un aneddoto. Eravamo in ritiro. Quando giocavamo al nord, il quartier generale era sempre a Busto Arsizio, proprio perché il mister voleva vedere il "mago". Eravamo a tavola. E c'era quella del mister con il "mago", per l'appunto, che parlava di Graziani. Diceva: "Mi sento che Graziani può non essere di aiuto alla squadra". E lui, Ciccio, da dietro gli rifila una pacca sulla faccia, non forte ma decisa. E gli dice: "Questo, però, non te lo sentivi". E tutti a ridere".

Torniamo a quella notte di coppa dei Campioni. I rigori.
"Non li avevamo preparati granché. Non c'era una lista. E avevamo tre rigoristi fuori, Pruzzo, Maldera e Cerezo. Quindi, il mister ha chiesto chi se la sentiva. E arrivati a Falcao lui ha detto che era stanco, meglio farli calciare a chi si sentiva bene. Da qui, la leggenda del grande rifiuto".

A distanza di anni?
"Provo ancora tanta rabbia per non aver giocato. Qualche anno dopo ho rilasciato anche un’intervista polemica contro Liedholm. Ma a distanza di tempo me ne sono pentito".

Era una gran Roma.
"La migliore di sempre. Irripetibile. Migliore di quella di oggi. Completa".

C'era Ancelotti.
"Un ragazzo eccezionale, un buono dal carattere di ferro. Due gravi infortuni, sembrava dovesse smettere. Eppure era sempre lì".

Falcao.
"Il Divino. Mi ha aiutato quando sono arrivato nella Capitale. Io ero abituato a marcare a uomo, a Roma invece si giocava a zona. All'inizio ho avuto un po' di problemi: lui mi dirigeva e, soprattutto, quando mi vedeva in difficoltà si avvicinava e si faceva dare la palla".

Di Bartolomei.
"Era il capitano, il capitano che ogni calciatore vorrebbe avere. Poche parole, ma sante. E poi era sempre generoso con tutti. A distanza di anni nessuno ha mai capito perché ha deciso di farla finita".

La sua carriera ha preso una svolta dopo la stagione di Ancona, in C2, nel 1979.
"A quel tempo un tale Monaldi, per anni secondo di Veneranda, ci veniva spesso a vedere e mi ha consigliato a Veneranda che appena arrivato a Verona ha fatto il mio nome. Nella stagione 1981-82 abbiamo conquistato la promozione in A. Sì, proprio l'anno dei Mondiali di Spagna. Era bello quel calcio. Tutti italiani, pochi stranieri, ma forti".

Poi?
"C'era Bagnoli allenatore a Verona, anche nel primo anno di A. Non ero titolare ma poi si è fatto male Zmuda e ho giocato tanto".

Nell'estate del 1983 il passaggio alla Roma.
"Ero in vacanza. A quei tempi non c'erano telefonini. Ma avevo lasciato il recapito dell'albergo dove alloggiavo. E a sera è arrivata la telefonata del ds Mascetti. "Ti ha abbiamo venduto", mi ha detto. E, detto francamente, c'ero rimasto male. Mascetti l'aveva capito e ha aggiunto: "Guarda che ti abbiamo venduto alla Roma". La Roma che aveva appena vinto lo scudetto! Ero pazzo di gioia. E la notte ho preso due bottiglie di champagne in albergo: una me la sono bevuta io, l'altra i camerieri".

E alla Roma come era arrivato?
"Liedholm ascoltava molto Spinosi con cui avevo giocato a Verona. Ed è stato Spinosi che ha fatto il mio nome. Serviva un difensore agile e scattante e hanno scelto il sottoscritto".

L'approccio con Roma?
"Traumatico. I primi tempi ogni volta che giocavo la palla erano fischi. Avevo piedi non eccellenti, ma nemmeno ignoranti. Il problema è che in quella Roma erano tutti professori con i piedi".

E allora?
"Un po' alla volta ho cominciato a maturare l'idea di andare via a gennaio. L'ho anche detto nello spogliatoio dove, però, mi volevano bene. Tutti. Anche il massaggiatore, Boldorini. Il quale un giorno mi ha preso da parte. "Devi essere più gentile con i giornalisti, farti intervistare. Essere disponibile". Come, mi sono chiesto. Mica posso andare dai giornalisti e chiedere un'intervista. Boldorini mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha detto: "Lascia fare a me". Così dopo un paio di settimane, i giornalisti hanno iniziato a chiamarmi. Un'intervista al giornale, una alla televisione e così via. Dopo un paio di mesi dalla curva sud è uscito uno striscione: "Oddi un leone". Bruno Conti ancora oggi ci ride sopra".

Lei era in campo anche in quel Roma-Lecce 2-3 che è costato lo scudetto ai giallorossi nella stagione 1985-86.
"Pazzesco. Loro già retrocessi e noi in corsa per il tricolore. Quel giorno eravamo tranquilli, troppo tranquilli. Subito noi in vantaggio, poi raddoppio annullato. Sembrava facile. Poi, il Lecce ha pareggiato e si è portato sul 2-3. Ogni attacco nostro era un'occasione da rete. Abbiamo fatto notare agli avversari che noi eravamo in lotta per lo scudetto e loro spacciati. Ma non c'è stato nulla da fare. Quel giorno il portiere Negretti ha parato tutto. Era destino, doveva andare così".

Il più forte giocatore con cui ha giocato?
"Bruno Conti, un brasiliano nato in Italia".

E l'avversario più forte?
"Maradona, il top. Il sabato sera quando sapevi che dovevi marcarlo non dormivi a pensare come evitare figuracce. Ma se era in giornata tutti facevano figuracce".

L'allenatore che le ha dato di più?
"Liedholm e Eriksson. Due grandi".

L'amico con cui è rimasto in contatto?
"Bruno Conti".

Il rimpianto?
"Solo e soltanto quella notte della finale di coppa dei Campioni".

Ha guadagnato bene?
"I calciatori della mia generazione ai livelli di serie A hanno guadagnato bene. Se non hanno sbagliato investimenti oggi vivono di rendita".

Il suo primo ingaggio da professionista?
"18 milioni delle vecchie lire all'anno. A Verona. C'era il presidente Garonzi. A distanza di qualche mese mi ha detto: "Avevo in budget 24-25 milioni per te, se tiravi un po' la corda". Ma io quei soldi non li avevo mai visti prima!".

Oggi in chi si rivede?
"Probabilmente, Maggio del Napoli. Lui più tecnico, io più da corsa. Ero un terzino grintoso e aggressivo. Molto veloce. Mi davano sempre la seconda punta avversaria da marcare. Mi piaceva anche spingere sulla fascia".

Fonte: ilcentro.gelocal.it

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