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Sono innocente ma…

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 16-08-2017 - Ore 19:00

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Sono innocente ma…

MASSIMO DE CARIDI - “Sparatemi ancora… così vedremo chi cade, chi perde, chi ruba e chi sorride e c’ha la pelle dura! Facciamo una prova: vediamo come te la giochi, se vivi tra due fuochi, se cadi come un pollo o resti in piedi come Rocky...". Questa una parte del testo di “Sono innocente ma” di Vasco Rossi e che si adatta benissimo alla Roma di Eusebio Di Francesco dopo la debacle di ieri sera contro il Celta Vigo. Il mister giallorosso sale sul banco degli imputati per aver schierato le riserve nel primo tempo del match, quando i giallorossi sono finiti sotto per 4-0. Poco importa se nella prima di campionato a Bergamo giocheranno massimo 3-4 calciatori di quella prima parte di gara, poco importa se di fronte c’era la semifinalista dell’ultima edizione dell’Europa League, ciò che il popolo romanista ha visto è una squadra allo sbando e con le seconde linee non all’altezza ed una difesa “alla Zeman”. Lo sport della Capitale più in voga (sponda giallorossa) è quello della critica aspra, preventiva e senza appello. Pensare di metabolizzare in meno di un mese gli schemi di Di Francesco era quasi utopia ma i tifosi romanisti non aspettano e già sono partite le accuse verso Monchi e la sua campagna acquisti, verso il tecnico considerato “il nuovo Zeman”. L’ex allenatore del Sassuolo dovrà presto capire che a Roma è difficile vincere perché lavorare con calma in una piazza affamata di successi, che non arrivano da quasi 10 anni mentre dall’altra parte si festeggia la supercoppa italiana ai danni della Juventus, è una sfida ardua per chiunque ma se fosse vinta, lo porterebbe a diventare un idolo eterno ed avrebbe la riconoscenza di tutti. Una volta si diceva: “la pazienza è la virtù dei forti”, purtroppo a Roma questa parola non è di moda da troppo tempo e l’assenza di risultati positivi accentua ancora di più questa mancanza. Certamente, la Roma di Di Francesco vista sinora non è ciò che ci si aspettava: troppi giocatori in ritardo di condizione, poche idee del credo del mister abruzzese vengono espresse durante le gare, la fase difensiva ha vistose lacune ed alcuni giocatori non sono adatti. Lavorare senza 4-5 elementi chiave non è facile, Nainggolan non si è ancora immerso nel suo vecchio modo di giocare, Bruno Peres mostra tutti i suoi limiti ogni volta che scende in campo e la sua alternativa è in infermeria e non si sa per quanto ne avrà, davanti Perotti sta studiando per apprendere a pieno il credo di Di Francesco e l’assenza di un’ala destra di spessore si fa sentire. Insomma, c’è tanto da fare ma c’è anche tanto tempo. Quello che è stato dato a Spalletti al suo arrivo sia nella prima esperienza romana, dove cominciò con un quinto posto (poi diventato secondo per i fatti di Calciopoli), quello che è stato dato a Luis Enrique, che ha avuto la possibilità di arrivare sesto con una larga parte della tifoseria che ancora lo rimpiange, quello che è stato dato a Spalletti anche nella sua seconda esperienza da tecnico giallorosso, quando prese la Roma a gennaio e pareggiò la prima gara in casa col Verona e perse la seconda a Torino con la Juventus ma che a Di Francesco no, non si può dare. Perché? Perché è troppo “zemaniano”, perché non ha l’appeal dell’Hombre Vertical o del trainer di Certaldo, che alla fine della fiera nell’era americana hanno portato a casa “zeru tituli”, per dirla alla Mourinho, ma che hanno lasciato un bel ricordo. Alcuni allenatori sono amati indipendentemente dai risultati, vengono coccolati, attesi e difesi, ad altri piovono critiche ancor prima di aver iniziato la prima di campionato. Ricordare che Maurizio Sarri all’alba della sua esperienza napoletana aveva un curriculum meno importante di Di Francesco, che nelle prime 3 partite all’ombra del Vesuvio aveva racimolato 2 punti e che la difesa era un colabrodo ha poco valore, così come spiegare che Antonio Conte nel primo anno di Juventus o Massimiliano Allegri nel secondo campionato in bianconero hanno faticato diverse giornate prima di trovare la quadratura del cerchio. Fiducia, unione d’intenti, convinzione nei propri mezzi ed amore incondizionato facevano della tifoseria giallorossa (con rose molto più scarse di quella attuale) un traino fondamentale che purtroppo oggi manca a questa squadra ed a questa società, proprio nel momento in cui andrebbero maggiormente difese dagli attacchi esterni, non c’è quella compattezza tra tutte le parti in causa per far lavorare un tecnico che negli anni ha dimostrato di esser preparato. Dovrebbe apporre degli accorgimenti tattici in fase difensiva? Probabilmente sì. Gli schemi offensivi sono un po’ troppo complessi da esprimere in partita e metabolizzarli richiede ancora del tempo? Anche qui, la risposta probabilmente è sì. Nessuno dice che la Roma è una macchina perfetta e che le sconfitte (anche nelle inutili amichevoli) non sono un campanello d’allarme ma da questo a chiedere già la testa del tecnico o addirittura partire dall’idea che l’ingaggio del mister di Pescara sia stato un errore, ce ne corre. Daje Di Fra! Buon lavoro e buon campionato.

Fonte: Massimo De Caridi

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