Totti e le debolezze dei numeri primi
PAOLO VALENTI - A poche ore dalla partita più importante di quest’ultimo scorcio di stagione, quella che ufficializzerà la partecipazione diretta della Roma alla Champions League o la necessità di provare ad accedervi attraverso lo stretto del preliminare estivo, in casa giallorossa sono le dichiarazioni di Totti a catalizzare l’attenzione di un ambiente per il quale la serenità sembra un male dal quale rifuggire inorriditi. Dopo la dichiarazione pubblicata ieri su Facebook dal Capitano, che certifica la chiusura del rapporto da calciatore con la Roma ma non è altrettanto chiara in merito al suo futuro, la ridda di voci che la interpretano è assordante e confusa: farà il dirigente a Roma? Andrà a giocare altrove, all’estero o in Italia? Dichiarazione forse inopportuna nella tempistica, possibile frutto di una strategia di comunicazione studiata ad arte da professionisti del mestiere che alle sorti della Roma sono interessati non si sa quanto, soprattutto ora che è certo che il Capitano non ne farà più parte, almeno come giocatore. Ciò che si prospetta è un finale che i tifosi non meritano, frutto delle debolezze dimostrate dai personaggi che hanno alimentato questa vicenda.
TOTTI – A partire proprio da lui, il Capitano, leggenda ormai eterna di una città, di una squadra che non ha mai conosciuto una stella calcistica più luminosa. Dopo i primi anni di carriera, nei quali dovette combattere per ottenere i riconoscimenti trasversali che oggi tutti gli tributano, Totti ottenne lo scettro della Roma. Una costanza di rendimento ad altissimi livelli, unita a un rapporto speciale con il presidente Franco Sensi, che vedeva in lui il figlio maschio che la natura gli aveva negato, ne fecero il vero padrone di Trigoria. Più passava il tempo e più la Roma si identificava in Totti, disponibile a portare i mille pesi di una società ambiziosa ma spesso incapace a sostenere questo ruolo. Trigoria divenne una seconda casa per Francesco, in un rapporto simbiotico di do (elevatissimo contributo tecnico a una squadra che non ha mai avuto giocatori dal valore nemmeno avvicinabile a quello di Totti) ut des (rimango a Roma, a casa mia e faccio sentire il mio peso) nel quale il Capitano ha cominciato a non ritrovarsi più con l’arrivo dei nuovi proprietari nel 2011. L’iniziale freddezza di Luis Enrique nei suoi confronti (poi rivista in corso d’anno) e le dichiarazioni equivoche di Baldini appena rientrato, cominciarono a infastidirlo e a fargli capire che qualcosa era cambiato. Fino alle frizioni del 2016, alla scadenza dell’ultimo contratto della gestione Sensi, rinnovato a fatica per un’altra stagione a suon di prestazioni convincenti. Oggi Totti si ritrova al punto dello scorso anno, con l’incapacità di vedersi diverso rispetto al calciatore che è stato e la paura di dover affrontare una nuova vita che, in ogni caso, non sarà mai bella come quella vissuta fino ad oggi. Forse, e qui si arriva alla sua debolezza, Francesco è più Pupone oggi di quando aveva vent’anni: nel suo essere ancora istintivamente portato solo a giocare, a stare in campo, a correre, dettare passaggi e tirare in porta, incapace a fronteggiare (o, più semplicemente, accettare) la terribile legge del tempo che passa e impone di fare i conti con situazioni diverse che spesso costringono a mediare, grazie alla razionalità, ciò che si vuole e ciò che si può fare. Un Pupone dal quale Totti si deve guardare per evitare scelte che possano offuscare (anche solo temporaneamente) la sua immagine o, peggio, trascinarla nel patetico.
SPALLETTI – Tornato a Roma per migliorare quanto aveva già raggiunto nella sua precedente esperienza, chiusa in malo modo all’inizio della stagione 2009-10, Luciano si è presentato nel suo vecchio ambiente con un carisma maggiore, arricchito dalla formativa esperienza in Russia e da una consapevolezza dei propri mezzi che sembrava averne cancellato anche i lati oscuri del carattere. Mentalità vincente sul campo, tecnicamente poco discutibile, Spalletti ha però ceduto al suo desiderio di rivincita personale nei confronti di alcuni personaggi dell’ambiente romano che ne avevano messo a dura prova fiducia e pazienza. Tra questi, probabilmente, rientra anche Francesco Totti, nei confronti del quale oggi è difficile capire, stando fuori dallo spogliatoio, se le scelte compiute siano state frutto esclusivo di considerazioni tecniche. Dubbio alfine legittimato dalla passerella non concessa contro il Milan nell’ultima partita che il Capitano avrebbe potuto giocare a San Siro con la maglia della Roma. Al netto dei torti e delle ragioni, se Spalletti ha avuto nei confronti di Totti lo stesso atteggiamento dimostrato verso i giornalisti a lui ostili, ha ceduto all’incapacità di saper uscire da se stesso per avere una visione più distaccata e oggettiva delle situazioni vissute che ne avrebbe fatto un allenatore migliore.
LA SOCIETA’ – Nel silenzio di dichiarazioni mai pronunciate, la società non è riuscita a trovare la strada giusta per gestire l’uscita di scena del suo giocatore più rappresentativo di sempre, patrimonio da difendere per riconoscenza e convenienza. In bilico tra l’apparente voglia di disfarsi della sua figura ingombrante e i vantaggi che l’adorazione del pubblico nei suoi confronti comporta, Pallotta & C. non sono riusciti a trovare, con dialogo e intelligenza, una soluzione condivisa per separarsi dal Totti calciatore. O, se non condivisa per mancanza di intesa, una soluzione plausibile che avrebbe permesso alla società di dare un’immagine di sé più autorevole. Dall’esterno, invece, i più hanno avuto l’idea di una struttura incapace di anticipare gli eventi o comunque di fronteggiarli senza uscirne danneggiata, lasciando nelle mani dell’ultimo arrivato l’onere di una dichiarazione che sarebbe spettata ad altri. Debolezza della classe dirigente o difetti di comunicazione? In entrambi i casi, la Roma società non ne è uscita bene.
Chi, però, ci rimette più di tutti sono i tifosi, oggi divisi tra coloro che difendono a spada tratta il Capitano e chi, ove decidesse di continuare a giocare altrove, lo considererebbe un traditore. Tifosi ai quali resta difficile indirizzare l’attenzione su quello che rimane l’ultimo, indispensabile obiettivo da raggiungere per poter garantire alla squadra un futuro competitivo: quel secondo posto in campionato al quale manca una vittoria ancora tutta da conquistare. Forse è anche per questo che a Roma vincere è più difficile che altrove.
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