Calcio Internazionale

Nazionale, Albertini: “Bilancio positivo, ma i club ci stiano più vicino”

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 01-07-2013 - Ore 20:55

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Nazionale, Albertini: “Bilancio positivo, ma i club ci stiano più vicino”

La Nazionale è tornata dalla Confederations Cup con molte più certezze sulla propria forza e soprattutto con un’esperienza preziosa, rispetto alla maggior parte delle avversarie incluse ad esempio Germania e Argentina, sulle difficoltà del Mondiale brasiliano: logistica, spostamenti, orari e clima. L’allarme principale della Figc, condiviso con le altre federazioni che hanno preso parte al torneo, riguarda i tempi di recupero tra una partita e l’altra. Al Mondiale il ritmo delle partite nella fase iniziale sarà un po’ meno serrato di quello della Confederations, con 5 giorni tra una partita e l’altra. Ma la lunghezza degli spostamenti rende comunque il problema serio.

“E’ stato un peccato vedere due squadre come Italia e Uruguay stravolte dalla fatica”, ha rilevato il ct uruguaiano Tabarez e il suo collega spagnolo Del Bosque non ha potuto fare a meno di notare che la finale col Brasile è stata decisa anche dal mancato recupero della sua squadra, dopo la semifinale ai rigori con l’Italia. Tutte le grandi nazionali, dunque, puntano a chiedere a Blatter il diritto a tre giorni pieni di recupero, il che significa la garanzia che i viaggi di trasferimento da una sede all’altra delle partite dovranno avvenire con la massima tempestività e che sull’obbligo di ritrovarsi in anticipo nella nuova sede della partita successiva vengano applicati criteri più elastici del solito. Sarà un lungo lavoro di mediazione con la Fifa. In quest’ottica assume grande importanza anche la scelta del ritiro, che non potrà obbedire per forza di cose ai soliti principi scelti dalla federazione nelle precedenti edizioni delle grandi manifestazioni, perché il modello abituale (hotel di piccole dimensioni interamente utilizzato dalla squadra e vicino a un campo d’allenamento dalle strutture all’avanguardia e all’aeroporto per ridurre i disagi del traffico e per raggiungere in breve tempo le sedi delle partite) non può essere adottato in un paese che è grande come un continente e dove le strutture alberghiere delle grandi città non hanno gli abituali requisiti.

La scelta del ritiro avverrà a dicembre, dopo il sorteggio del 6 a Costa do Sauipe, ma la Figc ha comunque già tre opzioni: a San Paolo (dove ci sono la più folta comunità italiana e il centro tecnico del Palmeiras, a fronte però del caotico traffico della metropoli) e Belo Horizonte (città più tranquilla e sede di uno stabilimento della Fiat, ma aeroporto con collegamenti più difficili e perciò più complicato per le centinaia di persone e di aziende al seguito della Nazionale al Mondiale) si è aggiunta Rio de Janeiro, che è molto piaciuta allo staff durante la prima settimana della Confederations, ma presenta le stesse controindicazioni di San Paolo per via delle dimensioni della città (si cerca infatti una struttura più periferica di Barra da Tijuca e dello stadio del Botafogo, che erano i due quartieri generali azzurri durante la Confederations).

Intanto il capodelegazione Demetrio Albertini, vicepresidente federale e presidente del Club Italia, traccia un bilancio tecnico della preziosa visita in Brasile della Nazionale.
Albertini, qual è stato l’aspetto più importante?
“Che come in tutte le prove, scopri le cose da fare e quelle da non fare. E’ stato un viaggio molto utile. L’organizzazione della trasferta del prossimo anno avrà tante criticità, come si dice nel gergo della logistica. Però adesso sappiamo come affrontarle. Fermo restando che l’elemento basilare è l’aspetto tecnico, del quale possiamo dirci piuttosto soddisfatti”.

Per il terzo posto?
“Non solo. Dobbiamo ancora qualificarci per il Mondiale e gli appuntamenti di settembre e ottobre non sono affatto semplici. Ci sono quattro partite delicate, con Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca e Armenia. Però abbiamo le idee più chiare sulle nostre potenzialità. Possiamo ripercorrere questo giugno intensissimo?”. Prego

“All’inizio era inevitabile l’alternanza di partite brillanti e di altre meno scintillanti. L’avventura è iniziata dalla partita con la Repubblica Ceca, che è arrivata dopo il campionato. Le difficoltà fisiche ci sono state, ma abbiamo dimostrato di avere recuperato in pochi giorni il senso di appartenenza del gruppo. La forza morale del gruppo è l’aspetto forse più importante di questa squadra, altrimenti non avrebbe reagito così bene alle difficoltà che ha incontrato sul campo. Un’altra chiave è stata l’amichevole con Haiti”.
Forse tecnicamente la si poteva evitare, al di là dell’obiettivo benefico di raccogliere fondi per le popolazioni terremotate.
“Quell’aspetto resta prioritario. E comunque, dal punto di vista sportivo, ci è servita per alzare l’attenzione. E’ vero che la squadra è scesa in campo appena arrivata in Brasile, senza avere smaltito il fuso, mentre Haiti aveva da poco messo in difficoltà la Spagna, perdendo solo 2-1. Il nostro 2-2 ha avuto valore, perché abbiamo subito i due gol nel finale, quando dominava la stanchezza. Era un percorso organizzato di rapido recupero dalla fatica e si è visto subito col Messico al Maracanà. Una partita convincente, anche se le difficoltà logistiche si sono sentite subito dopo: mai nella storia della nostra Nazionale c’era stato un torneo così itinerante”.

Basta a spiegare il rischio del crollo col Giappone?
“Altra esperienza preziosa. Abbiamo iniziato molto male, ma siamo rimasti in partita nel momento più difficile. Lì si è visto il senso di appartenenza di cui parlavo, con la rimonta dallo 0-2 al 3-2 in pochi minuti. Infatti col Brasile, nella stessa situazione, non abbiamo sbracato, come altre volte sarebbe successo e soltanto la traversa ci ha impedito di pareggiare una partita che nel secondo tempo abbiamo giocato molto meglio di loro. Quanto valga questo Brasile lo ha poi detto la finale con la Spagna”.

Che forse toglie un po’ di valore alla partita dell’Italia con la Spagna in semifinale.
“Non mi pare. Lo considero il risultato più significativo. Nessuno, prima di noi, era riuscito a fare cambiare sistema di gioco ai campioni del mondo, che nel secondo tempo hanno deliberatamente scelto di lasciarci la palla, snaturando il proprio sistema di gioco. Non hanno più puntato sulla rete fitta di passaggi, che è nel loro dna, ma hanno giocato di rimessa. E non è una mia interpretazione personale, ma un dato oggettivo. Avere ricevuto personalmente da un fuoriclasse come Iniesta i complimenti alla squadra e a Prandelli è stato un segnale fondamentale”.

Per l’immagine internazionale?
“Certo. Oggi è il nostro stesso gioco ad accreditarci come una squadra di alto livello. Questa Confederations è stata uno spot importante per noi, a un anno dal Mondiale. Ora i tifosi brasiliani ci aspettano col ricordo di Italia-Spagna, della partita col Messico, della finalina con l’Uruguay e naturalmente della partita in cui abbiamo fatto soffrire la Seleçao. Gli applausi spontanei di un pubblico così appassionato e competente a Pirlo, Balotelli e Buffon sono un bel biglietto da visita. Questo è il bicchiere mezzo pieno”.

E l’altro mezzo?
“Al di là del rammarico per essere usciti ai rigori con la Spagna, da dirigente devo pensare a come la Figc possa riempire l’altra metà del bicchiere o meglio di mettere Prandelli e i giocatori nelle condizioni di riempirlo. L’unica esperienza paragonabile a questa l’ho vissuta nel ’94 da giocatore, quando per la finale del Mondiale passammo da una costa all’altra degli Usa, con due climi diversi. Dobbiamo parlare con la Fifa per salvaguardare i protagonisti. Senza la loro presenza piena, senza permettere che in campo siano al meglio delle loro possibilità, anche un Mondiale può diventare uno spettacolo vuoto”.

Ha qualcosa da chiedere ai club, in quest’anno di campionato che separa gli azzurri dal Mondiale?
“Mi piacerebbe vederli più coinvolti nei nostri confronti. Sarebbe bello vedere anche qualche presidente partecipare di più alle nostre partite. Finora ho visto soltanto Ghirardi, il presidente del Parma, all’Europeo. Eppure la Nazionale è un patrimonio di tutti e soprattutto un prodotto dei club, che devono essere orgogliosi, se i loro giocatori fanno bene in maglia azzurra”.

Fonte: Repubblicasport

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