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Totti, Chiellini e il gran rifiuto: lui è il popolo, lui è Roma

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 14-05-2014 - Ore 09:49

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Totti, Chiellini e il gran rifiuto: lui è il popolo, lui è Roma

S’è rialzato da solo, l’ha snobbato, ha guardato da un’altra parte. E la mano no. Non gliel’ha data. Non gliel’ha voluta dare, perché Francesco Totti da Porta Metronia non è un ipocrita e Giorgio Chiellini da Pisa è un Montero-bis, uno che entra per far male, uno che aveva già provato a lasciare il segno, più che su Roma-Juve, sulle caviglie del Capitano. Totti ha la fierezza dei romani, gente che la mano non te le dà se non te la meriti. Totti ha quell’orgoglio lì, quello di chi Roma-Juve non sarà mai una partita come le altre, mentre per molti, troppi, è stata una partitella di fine stagione, un incontro di quelli che se vinci, bene, altrimenti chissenefrega. Totti contro Chiellini, Totti contro la Juve. A difesa della Roma, a difesa dei valori che si celano storicamente dietro questa che non è davvero una partita come le altre. Perché Totti lo sa, perché Totti c’è cresciuto in questa storia, Totti ha vissuto l’inchiesta di Guariniello, il sistema di Calciopoli, Totti quella Calciopoli là l’ha combattuta sul campo, Totti era bambino al gol di Turone. In questo Totti di questo Roma-Juve s’è vista la rabbia del solo-contro-tutti, del gladiatore tatuato che dal braccio si sposta sul cuore, del Capitano che difende la Roma come dopo Catania aveva difeso Roma. Aveva fatto scudo contro le generalizzazioni pericolose. «Roma non c’entra niente, quei fatti di Coppa sono accaduti lì solo perché la Capitale ha ospitato la finale ma poteva succedere ovunque. Roma è una città pulita e accogliente. Roma è Roma. È la Capitale e va rispettata». Totti come uomo vero, come fuoriclasse che la mano ai Chiellini della vita non la dà, ma Totti anche come alfiere, come Sindaco di Roma. Ecco, il Capitano e la sua Capitale. Questo rapporto, quest’amore che lo rende ultras della propria città, viene raccontato da Tonino Cagnucci in un estratto del suo libro “Totti, dai pollici al cuore”. Ve lo proponiamo qui sotto:

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Totti è più tifoso della Roma di quanto ne sia campione, Totti è più innamorato della Roma di quanto sia capace col pallone. E lui in campo è van Gogh (la definizione è stata data nel gennaio del 2002 da Giovanni Trapattoni) è Mozart e Beethoven, è uno scapigliato e un soldato, un veliero e un’istituzione, è energia solare distribuita in tutta la terra di Germania e tuono, è tutto se gli cambi una vocale. Il Comune di Roma si dovrebbe attivare seriamente presso il Governo e l’Unione Europea per far sì che i pollici versi di Totti al derby del 18 aprile 2010 finiscano sulle monete dell’euro, come logica conseguenza – quasi una propaggine fisica – dell’Uomo Vitruviano. È stata persino fisiologica quell’esultanza visto che Totti quando segna il pollice se lo mette in bocca, non giocando, ma esultando, ha usato lo stesso arnese da lavoro come poteva. Francesco è romanista soprattutto in questo, per la generosità, per la mancanza di certi sofismi, di sovrastrutture, di ricerche di stili che ti mettono al sicuro da certe critiche, da certi ambienti, da certi circoli, qualunque essi siano. Totti è sempre stato fuori moda, apposta poi l’ha creata, Totti è sempre stato uno di quartiere, uno che da ragazzino prima o poi doveva andare dal barbiere. Totti è il telefono coi fili, la pizza rossa e la pizza bianca, la villeggiatura più che la vacanza, più che il gettone – che vale sempre 200 lire – è la cabina telefonica. Il mangianastri arancione che aveva la zia più «moderna», la prima moquette nelle case di Roma senza ambienti da Arancia Meccanica.

Totti è certe zone di Roma, San Giovanni dov’è nato è tutta sua. San Giovanni è uno dei posti di Roma meno cambiati dal ’76 a oggi. C’è lì una specie di medietà romana dove respiri il centro, perché ci stai, la storia, perché ce l’hai davanti, ai bordi del Colosseo, ma attraverso l’arco t’arriva pure l’eco bucato della periferia, non quello sostenuto della Cassia, di Collina Fleming, dei Parioli, le uniche zone dove puoi constatare una certa rilevanza laziale. È un modo di essere più sostanziale che stiloso. È chi va a imbucarsi – ogni tanto però – a una festa, piuttosto di chi è invitato a quelle in maschera o – peggio – a tema. Totti ha la faccia di un film di Pasolini, non quella di un libro di Moccia.

Non sta tre metri sopra il cielo, ma in mezzo ai binari dove passa il tram di Fellini per Roma. È la tombolata non lo shopping. Pianerottolo e odore di fettina ben cotta. Totti è timido e per questo può diventare sfrontato non cinico, sveglio non opportunista. Tutto questo vuol dire appartenere a una certa tradizione tipicamente romanista. Totti ha rappresentato anche, se non soprattutto, il tifoso medio della Roma. Francesco non è di nicchia, non è un’esclusiva ultras, perché è del popolo. Totti è la Roma più che l’Aesse Roma. Francesco Totti è il chiacchiericcio di Roma, quello che gira per l’aria, prima di essere un nome già impresso nella sua storia. È nei discorsi sul pianerottolo fra Anna e Maria, con le porte di casa aperte come questa città sui ballatoi di San Lorenzo. Totti è quella Roma che resiste. Lui l’ha fatto: non se n’è mai andato. Anche in questo ha risparmiato tempo a Dio: niente parabole da figliol prodigo, semmai pallonetti, palombelle giallorosse, cucchiai. «Forza che il pranzo è pronto, ma speriamo che Totti domani segni ». Anzi: «che domani segna». È meglio. Il congiuntivo a volte è un errore, non dà il senso. Totti resta Totti perché dov’è nato è rimasto: indicativo – col pollice – sempre presente. Non l’aveva mai fatto nessuno prima. Strano a dirsi ma nessuno l’ha mai detto, è il segreto più scoperto del mondo: la Roma nella sua storia uno romano, romanista così per sempre non ce l’aveva mai avuto.

C’è solo Daniele De Rossi che può fare la stessa strada. Fulvio Bernardini iniziò con la Lazio, Amedeo Amadei il primo ottavo Re da queste parti andò all’Inter e al Napoli, Agostino prima d’essere cacciato al Milan, al Vicenza, Bruno Conti al Genoa. Giacomino core de Roma è di Cremona. E nemmeno TancrediNelaVierchowodAncelottiFalcãoMalderaProhaska- PruzzoIorio sono nati e finiti qui; neanche nessuno dei campioni d’Italia del terzo millennio. Nemmeno Peppe Giannini o Pluto Aldair. Totti è una rarità già semplicemente per questo, escludendo quel capolavoro d’arte varia che mostra al mondo con cui gioca a pallone ogni benedetta domenica. (…) Il suo romano, lampo di una battuta («Aho») che fa a cazzotti e vince con la noiosa prosa mentale dell’italiano, giustamente archiviabile in un «è normale che».

È normale per tutti ma non per Totti. Faccia romana e rinascimentale, un po’ Lorenzo il Magnifico un altro po’ er Più de San Giovanni, Porta Metronia. Poesie e pallonate. Stornelli e allenamenti. Sogni e conferenze. Il nostro piede sinistro infortunato contro il carrarmato, la mazzafionda del borgo contro l’establishment, Pasquino che, col dito in bocca, è arrivato a fare il suo sberleffo in mondovisione. Un televisore analogico a due pollici, altro che maxischermi al plasma in digitale. Francesco Totti non è solo Roma che non è sparita, ma quella che si fa vedere e t’innamora nell’arancio, o in quella luce che si mette la mattina. L’odore fresco di pane, sampietrini, cornetti e vento. La bandiera. Ma non per questo ci è diventato. No. Lui è il primo giocatore al mondo che s’è identificato nella sua tifoseria prima che succedesse il contrario. E questa cosa se la porta dentro. E si vede meglio soprattutto in certe partite, in certe sfide. E diventa grande quando si tratta di difendere la bellezza di questa città: il suo sentimento.

Fonte: IL ROMANISTA - GALLI / CAGNUCCI

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