Rassegna stampa

Il gol che cambiò il destino: dall’abisso al trionfo dell’83

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 22-07-2017 - Ore 08:55

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Il gol che cambiò il destino: dall’abisso al trionfo dell’83

LA REPUBBLICA - SISTI - Nella corsa di Pruzzo, in quel 6 maggio del 1979, c’era qualcosa di strano. Più che festeggiare, era come se volesse uscire dallo stadio. Aveva addosso la leggendaria maglietta della Pouchain. Il bomber aveva rimesso in parità la partita con un’Atalanta che aveva il futuro ct Prandelli in campo e in panchina una figurina rara, Pizzaballa. Fu un 2-2 storico. Alla penultima giornata la Roma ottenne una quasi matematica salvezza. Evitando la B, Pruzzo chiuse l’epoca di Anzalone e aprì quella di Dino Viola.

Dopo Viola venne Liedholm, dopo Liedholm la fiducia. Emerse una squadra competitiva. Comparvero volti che non abbiamo più dimenticato, a cominciare da quello di Falcao. Organizzata in campo come nessun’altra, forte di acquisti lungimiranti e coraggiosi come solo il “Barone” sapeva effettuare (Ancelotti), la Roma incrinò le certezze della Juve e delle milanesi, sfidò la freschezza di Antognoni e la fugace potenza del Perugia di Castagner.
Il secondo posto nell’anno del gol annullato di Turone fu soltanto una premessa poetica, per la verità un po’ difficile da digerire, allo scudetto del 1983, maturato col pareggio di Marassi e poi celebrato in un 15 maggio assolatissimo allo Stadio Olimpico contro il Torino. Quella Roma era un concorso di vigore, tattica e talento, possesso palla, verticalizzazioni e ambigui abbinamenti (Di Bartolomei accanto a Vierchowod). Le emozioni che serpeggiavano per la città istigarono il cane a mordere Brio nel giorno in cui la Roma perse in casa contro la Juventus. A quel punto tutto sembrava perduto. Ma le stesse emozioni diffuse portarono all’immediata reazione che culminò con i due punti conquistati a Pisa la settimana successiva.

Lo scudetto “costrinse” Antonello Venditti a scrivere qualcosa che nessun club può vantare, una canzone inno bellissima, non una marcetta: Grazie Roma. L’entusiasmo tuttavia tradì. La cavalcata in Coppa dei Campioni s’interruppe proprio in finale, con Pruzzo e Cerezo presto sostituiti e la maledizione dei rigori a scuotere l’anima, mentre il cielo scoloriva in una notte fonda nella quale però i giocatori del Liverpool vedevano ancora, mentre il popolo giallorosso aveva gli occhi impiastrati di lacrime. Tra gli sguardi allibiti dei tifosi, nascosti dietro bandiere in cui era stata già stampata la coppa che non arrivò, ebbe inizio la seconda era Viola che sfociò, con una traiettoria lenta ma inesorabile, nel periodo delle grandi illusioni e dello sgomento all’ultima curva: Roma-Lecce. Con un girone di ritorno devastante all’insegna di Boniek, Eriksson aveva praticamente vinto lo scudetto. E invece cos’è rimasto? Il giro porta-sfiga dei due sposini accompagnati dal sindaco Vetere e Pasculli.

Fonte: LA REPUBBLICA-SISTI

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