Rassegna stampa

La grande elargizione/ I danni inferti alla Capitale da chi altera la concorrenza

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 25-02-2017 - Ore 11:45

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La grande elargizione/ I danni inferti alla Capitale da chi altera la concorrenza

IL MESSAGGERO - AJELLO - Non esiste migliore fotografia, per una città asfissiata da interessi particolari, che quella fornita dal resoconto della Grande Elargizione del 2013. Quella in cui da un imprenditore privato piovono finanziamenti in favore di circa la metà dei consiglieri comunali di Roma e vengono dirottati su singoli candidati sia di destra sia di sinistra.

Il che costituisce la più ampia operazione di finanziamento della politica nella recente storia di questa città. Uno spaccato eloquente che racconta l’alterazione della concorrenza a cui la Capitale è stata piegata, in spregio e in sfregio all’interesse generale. La Grande Elargizione di cui tutti i partiti o quasi hanno beneficiato è il brutto simbolo del rapporto insano che si è venuto a creare, sulla pelle dei cittadini e di quella che dovrebbe essere la normale fisiologia democratica, tra certa imprenditoria, la politica che la favorisce e la pubblica amministrazione che consente e aziona l’alterazione del mercato. Il risultato di questo groviglio oscuro è la produzione di clientele. Che come ci hanno insegnato i manuali di storia, di diritto, di politica significare spogliare i cittadini della parità di diritti.

La Grande Elargizione ha creato un’atmosfera di familiarità e di vassallaggi e un sistema di ri-feudalizzazione della cosa pubblica che è insieme letale e anti-moderno. Si è negato a Roma il mercato. Si sono calpestati i principi della libera concorrenza.

Cioè, anche, i diritti di libertà degli altri imprenditori che sono rimasti estranei a questo tipo di pratiche. C’è chi rispetta il mercato e chi unge gli ingranaggi, di fatto falsando la competizione e giocando per vincere su un campo artefatto. In cui è vietato battersi ad armi pari.

Roma anche di questa aria tossica è morta negli ultimi anni. Perché soltanto una competizione rigorosa, regolata e sana tra varietà di soggetti, di conoscenze, di capacità individuali e imprenditoriali consente a una metropoli di andare avanti sulla retta via e di migliorarsi, innovando. Invece, si è voluto deliberatamente derogare ai principi e ai valori in uso in qualsiasi società liberale. Luigi Einaudi sarebbe inorridito. E non soltanto lui, naturalmente.

Se è lecito devolvere finanziamenti a partiti e a candidati per motivi politici, lascia sbigottiti invece captare la benevolenza dei consiglieri comunali tramite regalie a buon rendere. Questo scambio contiene altre storture evidenti. L’imprenditore che elargisce lo fa per stabilire una confidenza e una frequentazione con i soggetti beneficiati. Li stringe a se in una sorta di familismo amorale, che è una delle peggiori usanze d’Italia nella sua storia. Ed è chiaro che, per imprenditori di altro tipo, estranei a queste logiche e a questi mondi, sottomondi e mondi di mezzo, lo spazio di movimento si restringe e la strada è in salita. Questo do ut des ai piedi della statua di Giulio Cesare si basa sul criterio dell’esclusione dei soggetti economici che non partecipano al sistema e finiscono per subire attacchi, angherie, difficoltà e ritardi di ogni tipo nel loro lavoro. Sarebbe illuminante svolgere un’indagine sui tempi di evasione delle pratiche del gruppo Parnasi, rispetto a quelli di altri imprenditori, presso l’assessorato fino a un anno fa guidato da Giovanni Caudo.

Si tratta di una storia che contiene una cattiva morale: la concorrenza è alterata, se la pubblica amministrazione non è neutrale. Questa deve restare parte terza tra i soggetti. Se non rispetta questa imparzialità, il soggetto favorito si espande e gli altri finiscono con l’essere fortemente penalizzato nella loro attività.

La Grande Elargizione, che ha fatto di Roma una città chiusa e dunque impossibilitata a crescere e a rivaleggiare con le altre metropoli europee, ha riguardato esponenti della passata legislatura capitolina in parte spazzati via (chi dalle Procure, chi dalla mancata fiducia dell’elettorato) ma anche consiglieri tuttora in carica. Oggi in Campidoglio ci sono delle facce nuove. E questo è un bene, a condizione che non si torni agli antichi vizi. Quello di cui stiamo parlando, cioè il disprezzo e la paura della libera competizione, è più adatto ad una società tribale che ad una grande Capitale. 

Fonte: IL MESSAGERO

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