Rassegna stampa

Manfredini: “Sei rigori alla Lazio, così ho fatto la storia”

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 24-05-2015 - Ore 09:11

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Manfredini: “Sei rigori alla Lazio, così ho fatto la storia”

Il protagonista di oggi, Pedro Manfredini, ricorda un derby storico vinto dalla Roma: il 25 aprile 1962, negli ottavi di Coppa Italia, i giallorossi si aggiudicarono la sfida ai rigori (6-4). Domani sarà il turno di un derby tinto di biancoceleste.
Il derby dei rigori. Inizialmente noioso e nell’epilogo emozionante. Il titolo dei quotidiani, per la sfida infrasettimanale di 53 anni fa all’Olimpico, fu per certi versi scontato. Lo chiamarono così perché, dopo lo 0 a 0 scialbo e infinito (tempi regolamentari più supplementari), si decise con i tiri dal dischetto degli 11 metri: 6 a 4 per i giallorossi che eliminarono i biancocelesti negli ottavi di Coppa Italia.

Mercoledì 25 aprile 1962, però, fa ancora notizia per ii 6 gol della Roma. Tutti con la stessa firma. Di Piedone. Cioè Pedro Waldemar Manfredini, 80 anni il prossimo 7 settembre, centravanti argentino che ancora oggi vive in Italia.

Con la moglie Ana ha scelto il mare di Ostia, come la famiglia De Rossi. Ha lavorato al bar dello stabilimento balneare del genero. Ora al Tibidabo passa per salutare la figlia Alessandra e i nipoti. «La gamba sinistra non mi permette più di stare troppo in piedi: ho subìto nove interventi e ho due protesi, all’anca e al ginocchio. Arrivai qui già messo male, avrei potuto giocare almeno altri tre anni». Realizzò in giallorosso 104 reti in 164 partite (contando le coppe) e come media gol in serie A ancora oggi è davanti a campioni come Sivori, Altafini, Riva, Maradona, Platini, Batistuta, Baggio e Shevchenko. Meglio dei top player.

CECCHINO INFALLIBILE - «Il mio destro, però, è bastato a farmi conoscere» scherza Pedro, al telefono da Ostia. In azione e anche su rigore. «Io sono uno calmo, non mi sono certo spaventato quel giorno quando sono stato chiamato a calciare i sei tiri. All’epoca calciava solo uno. La responsabilità era enorme, ma non avrei mai rifiutato…». I tifosi della Roma si aspettavano che l’incaricato fosse Antonio Valentín Angelillo, argentino come Manfredini, Carniglia però scelse Pedro. «Non ne sbagliai nemmeno uno. Fu la prima volta in carriera. Perché uno non lo realizzai in Belgio, in coppa, ma passammo lo stesso il turno, e uno me lo parò invece una volta Sarti e lì andò male. Benissimo, invece, contro Pezzullo». Il portiere della Lazio, entrato nella ripresa al posto del titolare Cei, non riuscì mai a intervenire. Pedro cambiò sia esecuzione che angolo. Ne calciò 3 di forza e 3 di precisione. «Cominciai con una botta, ma ero soprattutto abile a spiazzare il portiere. Lo guardavo, aspettando che si muovesse. In quel caso ci riuscii sei volte». Longoni si fece parare il 3° e il 6° da Cudicini. Il portiere giallorosso quel giorno fu protagonista con Pedro. Uscirono abbracciati dal campo, Ragno Nero e Piedone. «Vivevamo uno di fronte all’altro in via De Carolis. Stesso edificio e stesso piano. In tanti abitavamo alla Balduina». Come Capello e più avanti Falcao.

SOLO PER LA GENTE - «Io andavo in campo per far felici i romanisti: l’Olimpico era sempre pieno, non come oggi» racconta Pedro. «E mi piacevano gli sfottò, le scommesse tra i tifosi delle due squadre. Spesso a Trastevere mi coinvolgevano nei Roma-Lazio di quartiere. Giocavo pure io. E avevo amici anche tra i calciatori laziali: uno dei più cari era Morrone». Quel giorno il Gaucho non giocò. La Lazio, per la prima volta in B, arrivò 4a e non tornò subito in serie A. La Roma visse un’annata anonima e si piazzò 5a. La stagione fu tutta in quel derby, con tanti assenti tra i giallorossi, da Losi a Menichelli, con la traversa di Carpanesi e il palo di Governato. Con le curve a 500 lire e 50 mila spettatori. «Longoni mi disse, dopo i primi due rigori: se continui così, so già come finirà. Anch’io, gli risposi. La Lazio mi ispirava: segnai una doppietta al primo derby, feci poi anche una tripletta. I miei gol erano per i tifosi. Impazzivo con loro».

 

Fonte: Il Messaggero

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