Rassegna stampa

Occhio di Falcao

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 29-03-2014 - Ore 09:17

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Occhio di Falcao

Dalla sua stanza d’alber­go, da anni ostinatamente lo stesso, vede il Colosseo. «È una meraviglia, capito perché non vado altrove?». Facile svegliar­si, aprire la finestra e farsi sco­prire dal mattino.

Oltretutto, è uno di quei giorni in cui si può ringraziare il cielo di essere na­ti a Roma: c’è una luce avvol­gente, il rumore di fondo è so­stenibile, la visita di Obama ha lasciato in eredità perfino un po’ di pulizia nella stazione della metro.

«Come si fa a non amare questa città?». Nella ter­razza dove servono la colazio­ne chiunque può sentirsi come il Jep Gambardella de La gran­de bellezza: adorato, ricercato, coccolato. Anzi, prima di tutto ringraziato.

«Obrigado, Fal­cao» è la formula con cui il tifo­so si rivolge al campione. Una specie di parola d’ordine, la stessa da quasi trent’anni. E un codice di accesso al suo cuore.

«Ogni volta — confessa — que­sto affetto mi commuove». 

Lo chiamarono, e lo chiamano an­cora oggi, il Divino. Perché pri­ma del suo avvento e fino al­l’apparizione di Francesco Tot­ti, nessuno a Roma aveva rice­vuto tanta grazia calcistica.

Falcao,  ma  lei  se  la  spiega tanta gratitudine a distanza di trent’anni? Francamente no. E tutte le volte mi dico: “Da quando ho lasciato questa gente, la Roma ha vinto uno scudetto, ne ha sfiorati altri due o tre, ha cono­sciuto grandi giocatori, oggi ha una proprietà americana e fi­nalmente può sognare uno sta­dio degno della propria passio­ne”.

Eppure, l’amore per me è immutato e, forse, immutabile. Essere rimasto nel cuore dei ro­mani è il mio orgoglio più gran­de. Trent’anni fa ci speravo, ma non lo immaginavo così».

In questi giorni si sarà reso conto  che  i  romanisti  sono… felici.

Ne hanno tutti i diritti. Ho respirato l’atmosfera in cui è stato presentato questo proget­to dello stadio: si ha la consa­pevolezza, a ragione, che ren­derà la Roma una società di prima grandezza. E poi c’è la squadra, che fa cose straordi­narie». Tutti, perché la bellezza della Roma di Garcia sta nella sua visione d’insieme, oserei dire nel suo collettivismo.

C’è questa interdipendenza tra i reparti, tutti si aiutano per il bene comune e poi la rosa è un mix riuscito di giocatori che corrono e di bravi giocatori, con Totti che continua a fare la differenza per 40’­-50’ a partita.

L’allenatore è molto intelligen­te, mi hanno detto tutti che con lui si sentono tranquilli. A me questa squadra ricorda la mia prima Roma, quella del cam­pionato 1980-­81.

Una squadra bella, simpatica, rivoluziona­ria con quella difesa a zona. Solo per questi motivi, avrem­mo dovuto vincere lo scudetto già quell’anno, a parte il famo­so gol di Turone…».

Con un distacco in classifi­ca più ampio, però.

È un pecca­to, perché se questa Juventus marziana avesse gli stessi punti dello scorso campionato, la Ro­ma sarebbe ancora pienamen­te in corsa per lo scudetto. La mentalità vincente dei bianco­neri è un’altra delle cose im­mutabili e, in fondo, quello che noi romanisti gli abbiamo sem­pre invidiato. Ma io ho fiducia nella Roma di Garcia: può apri­re un ciclo, come quella di Lie­dholm negli anni Ottanta».

Rispetto ad allora, è il calcio italiano  ad  essere  decaduto.  Ai suoi tempi, oltre a lei, c’era­no Platini, Zico, Junior e Mara­dona. Oggi, invece, tira di più anche il campionato francese.

E' grave; vero, l’unico campione di caratura internazionale in Ita­lia è Tevez, e infatti fa la diffe­renza. Servono nuove fonti di ricavi per competere con Liga, Premier e Bundesliga, per questo applaudo al progetto­ stadio della Roma che, non a caso, segue l’esempio della Ju­ventus. Però io continuo a pre­ferire il vostro campionato, e come me tanti brasiliani. Sarà una questione di affetto, ma per me la Serie A conserva in­tatto il suo fascino».

L’Italia di Prandelli le piace?

Molto, e ve lo dico subito, alla faccia della vostra scara­manzia: farà un grande Mon­diale, ha tutte le carte in rego­la per arrivare in fondo: la so­lita grande difesa e, in più, la voglia di giocare a calcio».

Non le pare troppo Balotel­li ­dipendente?

Premessa: per me Mario è un campione. Punto. Non giu­dico l’uomo, non lo conosco. Ma il talento è indiscutibile. L’Italia, però, ha tanti altri gio­catori in grado di fare la diffe­renza, penso a Buffon, De Ros­si, soprattutto Pirlo».

Prima domanda d’obbligo: il 12 luglio chi alzerà la Coppa? Risposta facile: chi dimo­ strerà di stare meglio in quel mese. Le distanze e il clima avranno il loro peso». Italia  si  preoccupa  del­ l’umidità di Manaus, in Amaz­zonia, dove è previsto l’esor­dio con l’Inghilterra. Non vorrei che fosse il soli­to vostro modo di mettere le mani avanti. Nel ‘94 quanta umidità c’era negli Usa? Eppu­re arrivaste in finale».

E  perdemmo  ai  rigori  col suo Brasile. A proposito, siete voi i favoriti d’obbligo, no? E perché?

Certamente la Seleçao non sarà più abituata delle altre al clima. I migliori giocano tutti in Europa».

Preoccupato  dal  rischio  di grandi  manifestazioni  di  pro­testa?

Un po’, perché spesso pur­troppo sono sfociate in violen­za gratuita. Però condivido l’indignazione dei brasiliani: doveva essere un Mondiale so­lo per investitori privati, finirà che ci sono voluti i soldi pub­blici. Questo non va bene.

Sta  per  tornare  la  Cham­pions,  seconda  domanda d’obbligo:  chi  la  vince  que­st’anno?

Nei quarti ci sono degli ac­coppiamenti pazzeschi, impossibile fare un pronostico. Se ne devo dire una, il Bayern. Ma io farò il tifo per il Real  Madrid di Ancelotti. Quanti ricordi con il mio amico Car­letto.

Terza  (e  ultima)  domanda d’obbligo:  nel  calcio  di  oggi Falcao come se la caverebbe? 

Bene, proprio come tren­t’anni fa. I bravi calciatori so­no senza tempo». Divino…

Fonte: Gasport (A. Catapano)

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