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Braveheart - Cuore Impavido

condividi su facebook condividi su twitter 09-03-2016

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Braveheart - Cuore Impavido

«Le 38 gare di campionato possono darti delle soddisfazioni, ma sono partite come questa che rappresentano una scorciatoia per la gloria!». Il discorso, rammaricato, che Spalletti fa a fine match, è quello che aveva anticipato alla squadra. «Eliminare il Real Madrid al Bernabeu per sbalordire il mondo!». Bisognava essere impavidi, come chiedeva Mel Gibson (William Wallace) in Braveheart agli scozzesi:«Certo, chi combatte può morire, chi fugge resta vivo, almeno per un po’. Agonizzanti in un letto, fra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avete vissuto a partire da oggi per avere un’occasione, solo un’altra occasione, di tornare qui sul campo a combattere?».

Chissà se ne è convinto Edin Dzeko a distanza di qualche ora. Il bosniaco, forse intenzionato più a mettere fine alla propria esperienza romanista a questo punto che alla sua personalissima crisi professionale, starà avvertendo probabilmente il peso dell’occasione persa. Non tanto per quel tiro sbagliato al 13’, quello che avrebbe potuto invertire il corso della Storia, ma soprattutto per quel solito atteggiamento abulico, quasi disinteressato allo scorrere del tempo e degli eventi. Non possono bastare le due o tre giocate dispensate a beneficio dei compagni per garantirgli una pacca sulle spalle, come non può bastare l’impegno mostrato dagli altri (Salah, Manolas, Zukanovic, Florenzi o Szczesny) per accontentarsi dell’accaduto. Novanta minuti non sono fatti per racimolare solamente qualche occasione sotto porta. Novanta minuti sono fatti per scrivere la Storia, senza «rotolare nelle attenuanti».

Così, a combattere contro gli spagnoli è sembrato esserci solamente Luciano Spalletti, contrariamente a Wallace. L’uno eletto Lord Protettore di Scozia, l’atro, da ieri sera incontrovertibilmente, Protettore dei Romanisti.

«Noi siamo la Roma – specifica il tecnico – ma bisogna comportarci da Roma e bisogna venire in questi campi a mostrarlo. Non voglio vedere visi soddisfatti!». Condottiero vero! Parole dure come un macigno, che suonano forte come le cornamuse nella pellicola del ’95: 8 marzo 2016, finisce ufficialmente l’Era degli alibi e delle giustificazioni. Basta con i proclami o con le buone intenzioni. LeRivoluzioni, come quella Culturale tanto agognata dalla proprietà americana, non si annunciano, si provocano e Spalletti, in tal senso, è il miglior interprete possibile. Il cambiamento avvenuto sinora, del resto, ha intorpidito le menti. Ha portato ad accontentarsi delle sconfitte di misura, del tentativo di fare calcio. La richiesta iniziale di «complicità e pazienza» ha prodotto soddisfazione nellalimitazione dei danni«Non è da Roma», dice Spalletti e, d’incanto, tornano a pensarlo pure tutti i romanisti! Grazie! Del resto, l’applauso riservato dal pubblico del Benabeu a Totti fa capire cosa eravamo e cosa rischiamo di non essere più. Spalletti perderà Totti molto presto, probabilmente, proprio come capiterà a Wallace con l’amata Murron, ma il valore della Roma non deve disperdersi, come l’integrità della Scozia per il protagonista di Braveheart. Certi valori vanno al di là dei protagonisti, e anche delle sconfitte. «Perché i nostri nemici possono toglierci la vita – o la qualificazione – ma non ci toglieranno mai la libertà – o la nostra identità». In entrambi i casi, vale la pena combattere!

Fonte: Marco Madeddu

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