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Face Off: Dzeko, Destro e Pasquale Ametrano

condividi su facebook condividi su twitter 23-11-2015

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Face Off: Dzeko, Destro e Pasquale Ametrano

Quando in quel quarto d’ora, quello che va dal 72’ all’87’, si accavallano le immagini di Dzeko e Destro dal dischetto, l’impressione è di rivivere la scena che cambia i connotati di Sean Archer e Castor Troy. L’uno con la faccia dell’altro, proprio come in Face Off, quando John Travolta si ritrova nella vita di Nicolas Cage e viceversa. Del resto lo scambio di identità era già avvenuto in estate, seppur faticosamente, ma nessuno, come nella pellicola di John Woo del ’97, pensava che le vite dei due protagonisti potessero accavallarsi così indistintamente, anche se per un pomeriggio appena.

Tanto più che il vantaggio giallorosso sembrava aver sentenziato un successo inseguito con la meticolosità di Rain-Man, calcolando ogni passaggio al centimetro, interpretando il vento e le traiettorie di un pallone condizionato in ogni suo movimento dall’acquazzone che si è abbattuto su Bologna per tutta la giornata di sabato.

E’ fin lì, fino al 72’ appunto, che Pjanic e Dzeko sembravano calati nel ruolo Tom Cruise e Dustin Hoffman, o se preferite di Charlie e Raymond, per poi ritrovarsi inseriti in tutt’altro scenario.

Quando Torosidis apre la gamba e colpisce Giaccherini la sensazione è chiarissima: Destro farà Dzeko, anche se per un minuto appena, pur non meritandone la statura e ignorandone l’eleganza. Il modo di festeggiare il (meritato) pari del Bologna, del resto, lo mette in una posizione parecchio distante da quella del campione, quale in fondo non è mai stato e probabilmente mai sarà.

Ma i mali della Roma sono altri: quello di sbagliare l’approccio (come ad esempio già successo contro Verona, Sassuolo, Bate Borisov, Bayer Leverkusen e Sampdoria) e subire la rimonta (come accaduto alla BayArena o al Ferraris o come stava per accadere con Juventus, Palermo e Fiorentina). A parziale discolpa, stavolta, c’è l’infamia di un campo lasciato volutamente esposto alle intemperie sin dal mattino. Elemento su cui Donadoni ha fatto parecchio affidamento, puntando sulla complicità (o incapacità, fate voi) di Gianluca Rocchi, il guardiano del cimitero di Tivoli a cui il cinema di Verdone ha concesso una sola battuta: “Non c’è niente da ridere” (Bianco, Rosso e Verdone”, 1981).

Così, quando hai la sventura di incrociarlo, come il Mimmo verdoniano in compagnia della Sora Lella tra i sepolcri, o come Garcia al Dall’Ara per l’appunto, assapori chiarissimo il tuo destino. Quello della Roma non poteva essere migliore di quello che è stato, pur in un pomeriggio impreziosito dalla concessione di un paio di calci di rigore. Giocare sul quel campo poteva significare perdere la partita, incappare in uno o più infortuni, appesantire le gambe in vista delle prossime gare. Insomma, la designazione del fischietto fiorentino aveva già chiarito lo scenario.

Per questo quando te lo trovi di fronte non puoi che rimanere inerme, magari pure in silenzio fino alla fine, proprio come Pasquale Ametrano (per restare a uno dei personaggi di Verdone della pellicola del 1981), che prima di tornarsene a casa, però, concede alla platea il suo schietto e irrefrenabile punto di vista: “’O sapete che c’è, ‘o sapete che c’è? Natevela a pija’ tutti in der…”.  

Fonte: a cura di Marco Madeddu

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