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Il Silenzio degli Innocenti

condividi su facebook condividi su twitter 09-11-2015

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Il Silenzio degli Innocenti

MARCO MADEDDU - Bastava avvicinarsi allo stadio, ieri, per avvertire un diffuso senso di sconcerto. Un’atmosfera algida, ovattata, inedita e sospetta. Fuori, una schiera di blindati a sorvegliare il vuoto, dentro, un ammasso di seggiolini blu ad indicare il tetro. Il Silenzio degli Innocenti trova così il suo prologo con eccessivo anticipo sulla partita. A consegnare i tifosi al macello delle passioni (come nelle reminiscenze della Foster) ci aveva già pensato Gabrielli. Le grida si erano ascoltate per settimane nelle radio e le lamentele avevano inondato i social network. Quel che ne restava erano macchie di sguardi spauriti e accorpamenti di vessilli sparuti. Tutto in linea col macabro thriller di Jonathan Demme, che trova riedizione complessa nel derby dei sentimenti divorati.

A vestire i panni di Hannibal Lecter ci pensa Edin Dzeko, che impiega dieci minuti a cannibalizzare Gentiletti e a procurarsi il rigore che spacca la partita. Poco importa se il fallo è dentro o fuori dall’area. E’ il momento di sbranare e per trafiggere Marchetti non c’è modo migliore: 1-0! Il sapore è forte, migliore di quello provato affondando i denti su Leno qualche sera prima in Champions League. Il primo brandello di Lazio è venuto via, anche se per masticarlo a pieno occorre tempo. Per questo, quando si ripresenta l’occasione al 37’, il bosniaco preferisce lasciare il boccone e sparare fuori il pallone del 2-0. Sarà Gervinho, più tardi, a gustarsi il raddoppio.

A Dzeko, in fondo, basta il primo morso, anche se non smette di mostrare i denti. Forse la voglia è pure quella di differenziare il pasto, per questo prima ringhia sotto la Tevere, restituendo il pallone “soltanto” dove lo aveva ricevuto, poi tra il Distinto Sud e la Monte Mario, schiacciando il pallone sotto il piede destro per far scorrere gli ultimi minuti. E’ quella la sua consacrazione, segnata dagli olè della gente per una vittoria intrappolata tra tacchetti e pallone.

E mentre Pioli è intento a guardare un altro film (“L’uomo che fissa le capre”, probabilmente), con la mente che spazia già alla ricerca del primo alibi (“Il rigore ha condizionato la partita”), Garcia veste i panni di Clarice e, quasi compiaciuto, ammira il suo Hannibal addentare il campionato. Nessuno dei successi ottenuti da Inter, Juventus, Napoli e Fiorentina, infatti, ha il sapore di questo. Perché conquistato nel derby, tra le difficoltà di sei defezioni (Maicon, Castan, Strootman, De Rossi, Pjanic, Totti, oltre a quelle parziali di Keita e Florenzi), con la capacità di mantenere finalmente la porta inviolata (era successo solamente con il Frosinone sinora) e mettendo in mostra la tanto agognata profondità della rosa: Iago Falque per Pjanic e Vainqueur per De Rossi ne sono nitida testimonianza.

Della Lazio (la squadra che aveva preservato i “migliori” per l’occasione, facendosi scivolare addosso con estrema semplicità le sconfitte con Atalanta e Milan) non resta più niente, se non la voce stridula di qualche lamento.

A far rumore, però, sono soprattutto le mancate espulsioni di Gentiletti, Radu e Lulic, anche se nulla è più assordante del Silenzio. Quello degli Innocenti, dell’una e dell’altra sponda.  

Fonte: a cura di Marco Madeddu

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