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Irréversible

condividi su facebook condividi su twitter 30-11-2015

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Irréversible

Splendida e sola la Roma, stuprata, come l’ambizione di raggiungere la vetta. Splendida e sola come Monica Bellucci in quel sottopassaggio in cui Alex conosce la violenza del Tenia (Jo Prestia). La stessa del Papu Gomez, che al 40’ trova di fronte a sé una donna inopinatamente scoperta e certamente fragile su cui infierire, tra l’indifferenza generale di un ambiente che non le appartiene (Reja: “Anche la cornice di pubblico ha influito, io so che apporto possono dare i tifosi romanisti”). 

Dopo Bologna e Barcellona, l’Atalanta mette a nudo i problemi di una Roma che ormai procede al contrario, proprio come la trama di Irréversible (2002).

Stavolta non c’è neppure l’alibi della pioggia su cui far leva, o quello della netta superiorità dell’avversario. C’è una squadra vittima di se stessa, abbandonata al proprio destino: troppo lontani e distratti Pallotta e Sabatini per poter far da scudo a un gruppo che non sa più come difendersi. Il gol di Denis all’81’ (il diciassettesimo incassato in campionato, il trentatreesimo in stagione) ne è fulgida testimonianza.

Ma a differenza di quanto accade nella pellicola di Gaspar Noé, il tentativo di riavvolgere il nastro si inceppa. Mentre Marcus e Pierre (Vincent Cassel e Albert Dupontel) corrono affannosamente alla ricerca del responsabile dello strazio vissuto da Alex, Pallotta e Sabatini lasciano che tutto scorra come se non fosse accaduto nulla. Il dolore è di chi assiste, o almeno così sembra. 

Eppure un responsabile c’è, ci deve essere, anzi più di qualcuno. E la soluzione va trovata. Non da Garcia, che pare davvero aver sbagliato film: l’ingresso di Sadiq al 63’ è sembrato quello di Aristoletes nella Longobarda, ma invece di aggiustare le cose è servito a evidenziare la presenza in panchina di un “Allenatore – clamorosamente – nel pallone”.

Non serve più discutere sulle capacità (vere o presunte) di un tecnico che sembra aver smarrito anche le poche certezze che fin qui aveva fornito. Quel che conta è tirarsi fuori da questa situazione, al più presto e in qualsiasi modo (esonero, ritiro, allenamenti “punitivi”, qualsiasi cosa) prima che la stagione rotoli via all’indietro come le ambizioni della società e della piazza.

Perché una violenza inaspettata e gratuita come quella subita ieri, va denunciata, maledetta e strillata. Chiudersi nel silenzio della propria rassegnazione, del resto, non fa che acuire il dolore.      

Fonte: a cura di Marco Madeddu

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