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Neverland

condividi su facebook condividi su twitter 18-02-2016

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Neverland

E’ nel momento in cui la realtà ti presenta la sua faccia peggiore che scopri l’importanza dell’immaginazione. Un po’ come James Barri (Johnny Deep), che accompagnando il dolore del piccolo Peter per la perdita della madre, vola con la fantasia finoall’Isola che non c’è. (Neverland, 2004).

Spicca il volo Peter Pan, come la Roma, o meglio, come l’immaginazione della sua gente. Il Real uccide il sogno di un’impresa impossibile, ma al contempo, Spalletti consegna al pubblico una serata magnifica, eccitante e immaginifica, quella in cui il percorso diventa paradossalmente preferibile al traguardo.

Corre e gioca bene la Roma, mette in campo grinta, qualità, intensità, idee e consapevolezza nei propri mezzi. Come quando Salah accende il turbo e scappa via a Marcelo, o quando El Sharaawy si materializza alle spalle di Sergio Ramos prima di sbattere su Varane a due passi dalla porta. Funziona tutto, o quasi, specialmente nel primo tempo. Roma e Real Madrid si affrontano alla pari, e in parti uguali meriterebbero di spartire bottino. Ma il dolore ha un ruolo essenziale nella vita come nel calcio, da ieri sera il messaggio è ancora più chiaro. Sylvia (la madre del piccolo Peter) deve morire, e la Roma “deve” perdere la partita (perché così vuole il destino), ma Spalletti, proprio come James Barri, fa in tempo a mettere in scena uno spettacolo indimenticabile. Attrezza la casa per consentire alla fantasia di avere il sopravvento sulla realtà, e gli applausi scroscianti a fine gara testimoniano la bontà dell’impresa: «Questo pubblico conosce benissimo il calcio – sottolinea non a caso il tecnico a fine match – e sa riconoscere quando c’è da fischiare o da applaudire». Ecco spiegato l’arcano, il motivo per cui al pareggio-qualificazione ottenuto contro il Bate Borisov, l’Olimpico ha “preferito” la sconfitta subita contro gli spagnoli. E’ il merito ad avere il sopravvento, al di là del risultato. La capacità di sbalordire chi ti sta a guardare o ad ascoltare. La storia della gara di ieri è tutta qui, nel saper ammaliare e trasportare la gente ben oltre la ragione. E pazienza se Cristiano Ronaldo veste i panni di Capitan Uncino e Jesè quelli del perfido Spugna. Pazienza se  l’arbitro Kralovec decide di tradire la Roma (con un rigore colossale negato e molte altre decisioni contrarie) alla maniera in cui Trilli tradisce Peter Pan. Anche lui è perdonato, per volontà precisa di Spalletti («E’ un ottimo arbitro, non mi interessa giudicare il singolo episodio. Stasera conta quello che abbiamo fatto e quello che potevamo riuscire a fare»). Conta il senso generale della serata, che lascia alla Roma l’amarezza della sconfitta, ma anche la consapevolezza di poter andare parecchio oltre. Volando fino a raggiungere l’Isola del grande calcio. Quella dove la Roma è già stata in passato e che ieri sera ha ritrovato almeno con la fantasia. Sylvia è morta, la Roma ha perso, ma Peter ormai ha imparato a volare. 

Fonte: a cura di Marco Madeddu

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