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Finale 1999 - Manchester United vs Bayern 2 a 1

condividi su facebook condividi su twitter 14-05-2015

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Finale 1999 - Manchester United vs Bayern 2 a 1

PAOLO VALENTI - 26 maggio 1999: dieci anni dopo Milan-Steaua Bucarest, Barcellona torna ad ospitare la finale della Champions League. Arrivano a contendersela le due migliori squadre europee: il Bayern Monaco di Ottmar Hitzfeld e il Manchester United di Alex Ferguson, sulla panchina dei diavoli rossi già da tredici anni. Leggi le formazioni e ti rendi conto di avere a che fare con due corazzate. Il Manchester ha il gigante danese Schmeichel tra i pali, una linea difensiva che si avvale di Gary Neville e Jaap Stam e un centrocampo nuovo per l’occasione, dal momento che i due mediani titolari, Keane e Scholes, sono assenti per squalifica. Chiavi del gioco, quindi, nelle mani di Nicky Butt e David Beckam, nel pieno della sua ascesa come icona pop degli anni novanta: professionalmente al top, bello, ricco e promesso sposo di una cantante inglese famosa in tutto il mondo. Una versione rivista e addomesticata di un’altra star del Manchester United sul finire degli anni sessanta, quel George Best che all’epoca faceva impazzire le ragazze del Regno Unito e veniva unanimemente riconosciuto come il quinto Beatle. Nel 1999 i Beatles non ci sono più, la società è fluida e le etichette sono più difficili da appiccicare ma Beckam è ciò che nell’iconografia pop più si avvicina all’immagine del fuoriclasse irlandese.
In attacco si alternano al gol i Calypso Boys, Yorke e Cole: agili, veloci, implacabili, sempre in attesa dell’assist illuminante di Ryan Giggs.
I bavaresi non sono da meno. Il capitano e portiere della nazionale Oliver Kahn da sicurezza al reparto difensivo, retto dalla sapiente regia del trentottenne Lothar Matthaeus a cui si affiancano Babbel, Kuffour e Tarnat.  A centrocampo Jeremies ed Effenberg danno sostanza e qualità mentre in attacco spiccano i nomi di Supermario Basler e Alexander Zickler. Una squadra tutta tedesca con l’eccezione del ghanese Kuffour.   
Che sarà una finale equilibrata lo si intuisce anche dai precedenti occorsi nei giorni eliminatori, quando le squadre hanno pareggiato le due partite previste dal calendario: 2-2 a Monaco, 1-1 in Inghilterra. Più difficile immaginare che l’equilibrio venga meno dopo soli sei minuti dal fischio iniziale di Collina: punizione dal vertice sinistro dell’area di rigore inglese e Mario Basler infila Schmeichel sul secondo palo, scoperto dalla barriera che si apre anche per il disturbo dei giocatori tedeschi. Il gol è uno shock al quale i Red Devils faticano a reagire, incapaci a creare trame di gioco attendibili: l’assenza di Keane e Scholes in mezzo al campo si fa sentire, anche in fase di interdizione. Il Bayern continua a dominare schiacciando il Manchester nella sua metà campo e arrivando diverse volte a sfiorare il raddoppio, cogliendo anche un palo e una traversa con Scholl e Jancker. Ferguson non riesce a dare la scossa ai suoi e così decide di affidarsi alla panchina: al 67° fa entrare Sheringham al posto di Blomqvist mentre, a dieci minuti dalla fine, Solskjaer sostituisce un evanescente Cole. Ma l’inerzia della gara non cambia.
Si arriva così al 90°. Il quarto uomo alza il display che segnala tre minuti di recupero. Il Manchester guadagna un corner che Beckam va a tirare. Nonostante sembri niente più che un’inutile formalità, i tifosi inglesi assiepati dietro la porta di Kahn incitano a gran voce la squadra. Quelli rimasti a casa, riuniti nei pub o raccolti davanti alla televisione, non hanno la stessa fede e mordono angosciati mani e sciarpe, lacerati dalla flebile voce della speranza che ancora riesce a trovare una via nei pochi spiragli lasciati dall’evidenza. Cross lungo, un colpo di testa intercettato dai difensori tedeschi viene pericolosamente rinviato sui piedi di Giggs, che tira immediatamente di destro verso la porta. Sulla traiettoria si avventa Sheringham con una mezza girata che cambia di poco l’angolo del tiro: pazzesco, è gol.

La gioia degli inglesi è incontenibile: un urlo liberatorio attraversa Catalogna e Francia, arriva a Manchester e ritorna. Nel muro della sconfitta si è aperta una crepa che Ferguson e i suoi non riuscivano nemmeno a immaginare. La prospettiva dei supplementari è un regalo del destino che gonfia il cuore. I tedeschi sono attoniti, non riescono a elaborare l’accaduto. Mettono palla al centro e ricominciano a giocare. Un gesto meccanico, una procedura forzata. Difficile pensare di trovarsi di fronte ai supplementari dopo aver avuto la vittoria tra le mani.


Si riprende, ancora qualche azione in attesa di affrontare la mezz’ora di extra time. A pochi secondi dal fischio finale, lo United guadagna un altro calcio d’angolo. Dalla stessa bandierina da cui è nato il gol del pareggio, Beckam crossa nuovamente in mezzo all’area tedesca: Sheringham anticipa tutti di testa deviando la palla verso il secondo palo. Sul percorso della sfera si butta in spaccata Solskjaer, l’altro attaccante chiamato dalla panchina per provare a riprendere una partita che sembrava perduta: il pallone si impenna e si schianta sulla parte interna della rete un metro oltre la traversa. E’ gol, nuovamente gol: terribilmente, felicemente gol. Il cronista inglese urla incredulo:”Manchester United has reached the promised land!” riferendosi al fatto che i Red Devils sono la prima squadra inglese a fare il Treble: campionato, FA Cup e Champions League. Ferguson e i giocatori della panchina saltano come molle impazzite in campo, correndo verso i compagni che hanno appena ribaltato le sorti della gara. I pub inglesi spumano birra e gioia in ugual misura mentre i tedeschi, annientati dal destino, giacciono a terra davanti alla porta di Kahn. Non riescono a rialzarsi, devastati da un uno-due che li ha messi al tappeto. Ricordano le truppe sconfitte alla fine delle due guerre mondiali, iniziate con vittorie schiaccianti e finite con umilianti frustrazioni. Collina è lì, davanti a loro, giudice imparziale che, a metà tra la necessità di dover terminare il recupero e la compassione dell’uomo di sport, porge la mano per sollevarli da terra, rammentandogli la necessità di chiudere la partita.
In questa sorta di Maracanazo europeo, nel giro di tre minuti il pianto e il sorriso hanno invertito il posto sui seggiolini del  Nou Camp. La vittoria e la sconfitta, la gioia e il dolore, il paradiso e l’inferno non sono mai stati così vicini in nessuna finale della Champions League. Così, dopo trentuno anni, il Manchester United torna Campione d’Europa.


Roddy Doyle, nel suo romanzo Paddy Clarke ah ah ah!, racconta come il protagonista, un ragazzino di dieci anni, abbia vissuto il momento in cui George Best segnò il gol del 2-1 nei tempi supplementari della finale contro il Benfica di Eusebio:”Corsi fuori in giardino. La casa non mi bastava. Non potevo stare fermo. Feci il giro due volte; dovevo avere corso davvero forte perché rientrai in soggiorno in tempo per vedere l’azione ripetuta alla moviola. Non potevo sedermi.
George Best.
George Best.

George Best aveva appena segnato nella finale di Coppa Europa. Lo guardai, lui stava correndo di nuovo a centrocampo; aveva un gran sorriso ma non sembrava troppo sorpreso.  
Papà mi mise un braccio intorno alle spalle. Aveva dovuto alzarsi in piedi per farlo. “Magnifico” disse.”
  

Anche nel 1968 arbitrò un italiano: Concetto Lo Bello. Anche quell’anno il Manchester United aveva un’icona pop nella sua formazione. Anche nel 1999 chissà quanti ragazzini inglesi sono schizzati fuori casa per sfogare quell’incontenibile gioia che i loro padri hanno osservato con un compiacimento che le parole non sanno raccontare.

Fonte: Paolo Valenti

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