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Finale 1994 - Milan vs Barcellona 4 a 0

condividi su facebook condividi su twitter 05-05-2015

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Finale 1994 - Milan vs Barcellona 4 a 0

PAOLO VALENTI - Nella primavera del 1994 i Pink Ployd tornano sul mercato discografico dopo sette anni di assenza pubblicando The Division Bell. Buona parte della critica accoglie il nuovo album con toni per lo più aspri, come spesso accade quando un gruppo che ha ipnotizzato il mondo coi suoi capolavori passati presenta un disco non eccellente seppur di ottima qualità. Gilmour, Mason e Wright vanno subito in testa alle classifiche di tutto il mondo e quando arriva il giorno della finale di quella che è ormai diventata la Champions League, televisioni musicali e radio hanno già intriso la stagione delle atmosfere del gruppo inglese
L’atto finale della competizione viene anticipato di una settimana: il mondiale a stelle e strisce è alle porte, un oceano e pochi giorni di distanza prima che tutto il mondo punti gli occhi sugli Stati Uniti per vicende che non siano legate alla politica o ad altri sport. Gli americani (e la Fifa, e le grandi multinazionali che sponsorizzeranno l’evento) hanno preso molto sul serio la possibilità di dare finalmente solide basi al soccer. I potenziali ritorni economici sono altissimi e vengono corteggiati solleticando lo spirito patriottico e la fame insaziata di storia dei discendenti dei padri pellegrini. Ogni gadget marchiato col logo ufficiale della manifestazione viene accompagnato da un claim inequivocabile: making soccer history. Si, il mondiale americano farà la storia del calcio. Almeno per gli organizzatori.


Così la sera del 18 maggio la finale della Champions League ritrova ad Atene il suo palcoscenico. Ci arrivano il Barcellona di Cruijff e il Milan di Fabio Capello, subentrato alla guida dei rossoneri tre anni prima per rilevare una squadra che Arrigo Sacchi aveva spremuto nella testa e nel fisico. Capello è alla sua seconda finale di fila, dopo l’inattesa sconfitta patita l’anno precedente per mano dell’Olympique Marsiglia, e ci arriva dopo la vittoria del terzo campionato consecutivo. Berlusconi decise di affidargli la squadra dopo aver compreso che il ciclo di Sacchi era finito. Terminata la carriera da giocatore nel 1980 vestendo la maglia rossonera, si fermò a Milano allenando la Primavera nella prima metà degli anni ottanta prima di intraprendere un periodo di formazione manageriale nella Polisportiva Mediolanum, durante il quale si dilettò spesso come seconda voce nei commenti delle partite di calcio trasmesse dalle televisioni. Friulano di Pieris, Capello assorbe dalla sua terra la ruvidezza dei modi e la decisione dei tratti somatici (il nome del paese deriva dal latino e indica le pietre che venivano utilizzate per costruire gli argini dell’Isonzo). Intelligente e scaltro, capace di comprendere la psicologia dei calciatori per esserlo stato prima di loro, capisce che il Milan, dopo la rivoluzione di Sacchi, ha bisogno di stabilità per confermare la sua forza.

Cambia il modo di giocare ma non la mentalità, che rimane ferocemente orientata a un unico obiettivo, la vittoria, cercata con modalità diverse, meno spettacolari e più pragmatiche rispetto al predecessore. Il suo Milan è meno dinamico, più compassato nei ritmi e più potente fisicamente. Capello delega molto alla personalità dei giocatori in campo la gestione delle partite, tanto che i suoi detrattori ne evidenziano la mancanza di schemi di gioco originali e il fatto di essere in grado di vincere quasi esclusivamente per le qualità innate dei campioni che allena. Dalla sua esperienza manageriale riesce a ricavare una profonda capacità di gestione delle risorse: il confronto, anche aspro, con i campioni che ha a disposizione non lo spaventa.
Arriva a questa finale senza i favori del pronostico: sono i catalani a raccogliere l’apprezzamento degli scommettitori. Il Barcellona di Cruijff gioca un calcio tecnico e veloce, i suoi interpreti col pallone ci sembrano danzare: Guardiola, Nadal, Sergi ma soprattutto Romario e Stoichkov, attaccanti devastanti che hanno fatto vincere la Liga ai blaugrana e li hanno fatti volare a questa finale. Cruijff è l’opposto di Capello: due mentalità, due modi di interpretare il gioco lontani come i poli. L’olandese adora l’estetica quanto il friulano l’essenzialità. I due tecnici hanno costruito le loro squadre rispecchiando le rispettive impostazioni: “Per rinforzarsi loro hanno comprato Desailly, noi Romario” dichiara senza remore il profeta del gol qualche giorno prima della finale. Una vigilia vissuta con una spavalderia che tracima nell’arroganza quando il tecnico olandese si fa immortalare con la coppa dei campioni in una foto che è un affronto alla scaramanzia.

Da Milanello non c’è risposta alle continue provocazioni che arrivano da Barcellona. Inizialmente forse anche intimoriti (i rossoneri devono affrontare i catalani senza la coppia centrale Costacurta-Baresi), i milanisti decidono di coltivare nel silenzio le loro ambizioni, concentrandosi sugli allenamenti e l’interpretazione tattica della gara. I titoloni sparati dai giornali servono a caricare uno spogliatoio che, la sera del 18 maggio, non vede l’ora di entrare a gamba tesa sui fiumi di parole sopportati nei giorni precedenti.
Squadre in campo, Milan cauto, ferocemente concentrato. Rabbia e timore tendono i muscoli e aizzano i riflessi. I catalani palleggiano, traendo piacere dalla loro bellezza. La partita si sblocca al 22° quando Boban ruba palla sulla trequarti campo cedendola a Savicevic che punta l’area e tira sul portiere in uscita. La traiettoria ambigua del pallone favorisce il tiro in diagonale di Massaro che firma l’1-0. La televisione si sofferma sul primo piano di un attonito Cruijff che è lo specchio fedele di una squadra sorpresa in campo, molle sulle gambe incredule. Tutti aspettano una reazione che non c’è e, alla fine del primo tempo, Massaro infila ancora la porta di Zubizarreta. Come Savicevic al 2° minuto della ripresa e Desailly, proprio lui, l’emblema del Milan dileggiato dagli avversari, al 13°. Dopo un’ora di gioco la finale non ha più storie da raccontare, finita anzitempo proprio per mano di giocatori che il profeta del gol non si degnerebbe nemmeno di salutare. Savicevic compreso, che l’olandese ha dichiarato di non conoscere nemmeno.


Quando Maldini e compagni sollevano la coppa al cielo, per gli innamorati del pallone la stagione non è ancora finita. Basterà rivolgersi a ovest, qualche fuso orario più indietro, per alimentare del fuoco più grande la loro passione, tra città che ballano di notte nel cuore della calda estate americana e le nuove canzoni che i Pink Floyd hanno deciso di regalare a milioni di seguaci incapaci di farne a meno.     

Fonte: Paolo Valenti

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