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Johan Cruijff, il Profeta del Gol

condividi su facebook condividi su twitter 13-09-2015

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Johan Cruijff, il Profeta del Gol

PAOLO VALENTI - PRIMA PARTE - “Una vita da mediano, a recuperar palloni, nato senza i piedi buoni, lavorare sui polmoni”. Ma la sera del 31 maggio 1972 tutto questo non bastò a Gabriele Oriali, giovane marcatore dell’Inter, per fermare quell’impeto di vigoria atletica, tecnica raffinata e visione di gioco che rispondeva al nome di Johan Cruiyff, giocatore di punta di un Ajax stellare che quella sera vinse la sua seconda Coppa dei Campioni consecutiva grazie a una doppietta di colui che, negli anni a venire, raccolse soprannomi sublimi dai giornalisti nostrani: dal Pelè Bianco di Gianni Brera al Profeta del Gol di Sandro Ciotti.
Hendrik Johannes Cruijff, abbreviato Johan, nacque ad Amsterdam il 25 aprile 1947 da una famiglia che aveva qualche difficoltà a sbarcare il lunario. Il padre, titolare di un negozio ortofrutticolo, mancò presto e il dodicenne Johan, per garantire il sostentamento della famiglia, convinse l’Ajax ad assumere la madre come donna delle pulizie. Si perché, a quell’età, il giovane meraviglioso giocava già nelle fila dei Lancieri di Amsterdam che, senza troppa difficoltà, ne avevano compreso l’unicità del talento. Cruijff, però, non aveva un fisico naturalmente dotato. Per questo motivo il suo allenatore lo faceva esercitare con dei pesi nelle tasche della tuta al fine di potenziarne muscolatura e resistenza alla fatica. Forse fu anche per questo che quella sera di maggio Johan fece impazzire Oriali. Una marcatura asfissiante che, nelle intenzioni dell’allenatore Invernizzi, avrebbe dovuto arginare le giocate dell’asso olandese. Si perché Gabriele aveva dalla sua gioventù, diligenza,  volontà e senso del sacrificio sufficienti per poter correre appresso a Cruijff per tutta la partita. Ma quello che, alla distanza, avrebbe sfiancato qualsiasi fantasista si ripercosse, invece, sul difensore nerazzurro. L’olandese non possedeva solo tecnica e fantasia: ambidestro, elegante, veloce, aveva dalla sua anche una notevole resistenza atletica che gli consentiva di spaziare su tutto il campo e annullare le marcature a uomo. Oriali, un giorno di dieci anni più tardi, vinse “casomai” i mondiali, titolo rimasto per Cruijff una chimera. Ma quella serata a correre su e giù per il campo senza toccare un pallone probabilmente la ricorda ancora. 
Nel 1964, appena diciassettenne, Johan fece il suo esordio nella massima divisione olandese. Cominciò a segnare già dalla seconda partita e da lì la sua ascesa fu costante e inarrestabile. Nel 1966 l’esordio in Nazionale fu segnato da un gol e un cazzotto all’arbitro che ne determinò una squalifica di un anno, successivamente dimezzata. Un segnale del carattere di questo ragazzo smilzo che guardava dall’alto del suo talento il resto del mondo. L’unica che riusciva a domarlo era la moglie Danny Coster, figlia di un ricchissimo commerciante di diamanti che diventerà poi anche manager del calciatore, sposata nel 1968 quando nel palmares del giocatore figuravano già tre campionati olandesi. L’anno dopo, per Johan e il suo Ajax, arrivò il primo appuntamento con la finale di Coppa dei Campioni: un Milan con molti dei suoi giocatori all’apice della loro storia professionale, su tutti Gianni Rivera e Pierino Prati, stroncarono le velleità di vittoria dei giovani olandesi. Anche in quella partita, però, fu evidente che il passaggio del testimone sarebbe stata una questione di poco tempo. L’Ajax, infatti, tornò a disputare la finale di Coppa dei Campioni nel 1971: a Wembley, contro la sorpresa Panathinaikos, non ci fu storia: 2-0 per i lancieri e prima delle tre Coppe di fila messa in bacheca. L’anno successivo toccò appunto all’Inter fronteggiare gli olandesi. Ma, anche qui, niente da fare: i nerazzurri vennero annientati dal calcio totale della squadra di Amsterdam. Il duello tra Cruijff e Oriali fu la chiave interpretativa, l’emblema della partita. Il girovagare di Johan su tutto il fronte dell’attacco fu continuo, fatto di progressioni, stop e accelerazioni in verticale a prendersi quegli spazi che la difesa blindata dell’Inter non voleva concedere. Oriali era sempre lì, lì nel mezzo, a cercare affannosamente di vincere un contrasto o quanto meno arginare l’avanzata di quell’attaccante senza fissa dimora, diabolicamente fluttuante tra le vertigini delle fasce laterali e l’imbuto dell’area di rigore, dove i difensori sembravano disposti come paletti da saltare in uno slalom speciale. Un incedere vorticoso e sincopato, un passo di danza asciutto ed elegante: niente a che vedere con un samba evanescente o un tango accorato. Anche a quella sera Cruijff dette forma e sostanza, mettendo due volte il nome sul tabellino dei marcatori e consentendo all’Ajax di vincere la sua seconda Coppa dei Campioni.
La terza arrivò l’anno dopo: in finale a Belgrado fu un’altra italiana di rango, la Juventus, a dover lasciare il passo ai lancieri. Alla fine del periodo 1965-1973, l’Ajax e Cruijff  vinsero sei campionati, tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa Uefa. Giunse il momento di cambiare.
Due squadre in Spagna inseguivano il sogno Cruijff: il Real Madrid, al quale il giocatore era stato promesso dalla società, e il Barcellona, destinazione preferita dal giocatore per una promessa fatta tempo addietro al presidente Montal e per la presenza in panchina di Rinus Michel, suo precedente allenatore nonchè selezionatore della nazionale che si apprestava a disputare i mondiali l’anno successivo

Fonte: A cura di Paolo Valenti

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