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Paolo Rossi, il sorriso azzurro degli anni di piombo (prima parte)

condividi su facebook condividi su twitter 22-10-2015

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Paolo Rossi, il sorriso azzurro degli anni di piombo (prima parte)

PAOLO VALENTI - Primavera del 1978. L’Italia sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia repubblicana: il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, viene prima sequestrato e poi ucciso dopo cinquantacinque giorni di prigionia che mettono le istituzioni a dura prova. Siamo nel pieno dei cosiddetti anni di piombo, caratterizzati dalla violenta contrapposizione tra forze extraparlamentari di destra e di sinistra che vorrebbero il sovvertimento dello status quo politico-istituzionale. E’ in questo contesto che un ragazzo di poco più di vent’anni, toscano di Santa Lucia di Prato, brucia le tappe della sua ascesa al successo imponendosi come capocannoniere della serie A 1977-78 con 24 reti in 30 partite.

In realtà si tratta di un exploit solo per chi non lo ha seguito nella sua formazione professionale, a partire proprio dall’anno precedente quando, con 21 reti, trascina il Lanerossi Vicenza in serie A. Giovanissimo, infatti, fu cercato con forza dalla Juventus, che lo aggregò al suo settore giovanile. Esordì nel 1974 in prima squadra in un incontro di Coppa Italia, affiancando gente del calibro di Zoff, Furino, Causio, Capello. La sua crescita, nei primissimi anni di carriera, viene ostacolata da diversi infortuni alle ginocchia che lo costringono ad operarsi ai menischi per ben tre volte. Ma Paolo Rossi, per sua fortuna, non ha bisogno di un fisico esplosivo: veloce nei movimenti, raffinato nella tecnica, intelligente tatticamente attira comunque le attenzioni di allenatori e direttori sportivi. La Juve, si sa, non è un club che può aspettare. Decide così di mandare il ragazzo a farsi le ossa a Como dove vive, però, un’annata negativa, con pochissime presenze e zero reti. La svolta della carriera arriva nel 1976 con l’approdo al Vicenza del tecnico Fabbri e del presidente Farina. Due anni fantastici che valgono la promozione nella massima serie il primo e un incredibile secondo posto in A nella stagione successiva. La Juventus vuole riportarlo alla base, col presidente dei biancorossi però non c’è accordo sul prezzo (Rossi è in comproprietà). Ne viene fuori una competizione che porta la valutazione complessiva del centravanti a una cifra superiore a cinque miliardi di lire. Uno scandalo per l’epoca, un’ipervalutazione mai raggiunta da nessun giocatore del nostro campionato. Ma per Farina quel ragazzo di ventidue anni rappresenta l’apice del calcio italiano. E’ lui che dichiara ai giornalisti:”Paolo è la Gioconda del nostro campionato”.
Sono questi i presupposti che convincono il commissario tecnico Bearzot a convocarlo nei ventidue che rappresenteranno l’Italia al mondiale argentino. Con Bettega e Graziani sicuri del posto, Rossi si allena nelle fredde e umide giornate dell’inverno dei gauchos senza pressioni, soddisfatto di essere in un gruppo che parte dall’Italia tra le polemiche  dopo la brutta prestazione offerta nell’amichevole premondiale contro la Jugoslavia a Roma e una parte della critica che contesta la partecipazione degli azzurri ad una competizione organizzata da un paese sotto dittatura militare.

Sono proprio gli allenamenti in Argentina che sovvertono le gerarchie dell’attacco azzurro: Graziani non è in forma, Paolo è pimpante, ha un’intesa con Bettega quasi istintiva. E’ così che nella partita d’esordio contro la Francia il 2 giugno, il centravanti impiegato nell’undici titolare è proprio lui, Paolo Rossi, da Vicenza a Mar del Plata con la naturalezza delle vicende ineluttabili. E’ suo il primo gol italiano al mondiale, un gol quasi non voluto: una carambola tra traversa, rimpalli tra difensori e attaccanti che rimbalza l’ultima volta sulla sua presenza a pochi passi dalla linea di porta, tipica del suo opportunismo rapace, della sua capacità di trovarsi al posto giusto nel momento giusto per trasformare un’azione in gol. L’Italia poi vince, vince anche la seconda gara e la terza. Rossi segna anche nel girone di semifinale ma, alla distanza, la squadra cala fisicamente. E’ ancora acerba per vincere, bisognerà aspettare quattro anni per compiere un’epopea ma Pablito, come viene vezzeggiato dai sudamericani, è una stella di questo mondiale. Forse, più che dalla sua tecnica e dalla sua eccezionale capacità di segnare, l’immaginario collettivo è colpito dalla sua atipicità. Rossi non ha un gran fisico, giusto i quadricipiti un po’ ingrossati per gli allenamenti quotidiani. Minuto nel tronco, con uno sguardo fresco e pulito e un taglio di capelli opposto rispetto al look lungocrinito dei suoi colleghi, Paolorossi (così sembra essere il suo nome nella pronuncia enfatica delle cronache sportive) attira la benevolenza spontanea delle mamme e dei giovani fan, che lo vedono come un figlio o un fratello maggiore che ha realizzato i loro sogni. Il ritorno in patria è trionfale: tutti i giornali lo cercano, è l’icona riassuntiva di una nazionale giovane e spregiudicata che ha espresso forse il miglior calcio del mondiale. La sua vita va a cento all’ora: in un anno Rossi è passato a suon di gol dalla serie B ai vertici del calcio internazionale. Il futuro sembra una meravigliosa discesa dorata.
La vita, però, presenta spesso un percorso sinuoso tra un traguardo e l’altro. La stagione successiva Paolo e il suo Vicenza non riescono a replicare i miracoli delle stagioni precedenti. Nonostante altri 15 gol il campionato finisce con una impronosticabile retrocessione. I destini dei biancorossi e del centravanti più forte d’Italia si dividono. Nonostante le offerte di un ambizioso Napoli, Rossi preferisce rimanere in un ambiente provinciale, più consono al suo carattere riservato. Scegliere Perugia significa replicare il modello vicentino: ambiente tranquillo e squadra competitiva (nel 1978-79 gli umbri sono arrivati secondi alle spalle del Milan del decimo scudetto). Nonostante queste premesse, il campionato 1979-80 è il più amaro della carriera: il Perugia viene coinvolto nel calcioscommesse e anche Rossi cade nelle maglie della giustizia sportiva. Nonostante le sue dichiarazioni di innocenza, Pablito viene squalificato tre anni. Un’eternità, nel pieno della carriera, che gli impedisce di partecipare agli Europei dell’80 e, se non fosse intervenuta successivamente una riduzione di un anno della squalifica, gli avrebbe negato anche il mundial spagnolo. Una mazzata tremenda che gli fa venir voglia di abbandonare il calcio e lasciare l’Italia. Un danno di immagine enorme, insopportabile. Una ferita che, al di là di torti e ragioni, solo il tempo potrà riparare.
Tempo che passa lento, grigio. Come l’inverno che precede il mondiale dell’82, passato ad allenarsi tutta la settimana con la consapevolezza di non poter giocare la domenica. La Juventus ha dato fiducia al giocatore e lo ha messo sotto contratto per farsi trovare pronto alla scadenza della squalifica, prevista nell’aprile dell’82, a pochi giorni dalla fine del campionato e a poche settimane dall’inizio del mundial. Rossi partecipa alle ultime tre partite della stagione della seconda stella bianconera segnando anche un gol a Udine, proprio al rientro. Ma è un fuoco di paglia: Pablito è lontano anni luce da una condizione fisica accettabile, che può recuperare solo giocando partite ufficiali. Purtroppo, prima dei mondiali non ce ne sono molte e la Nazionale parte verso il ritiro di Vigo con molte incertezze.
   

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