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Roberto Baggio, il Divin Codino (Prima Parte)

condividi su facebook condividi su twitter 09-10-2015

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Roberto Baggio, il Divin Codino (Prima Parte)

PAOLO VALENTI - Di questo ragazzino dalla capigliatura non ordinaria (riccioli molto lunghi dietro e sulla fronte, corti ai lati, secondo i canoni del look metà anni ottanta) si cominciò a parlare ben prima che le luci della ribalta lo prendessero di mira. Un ragazzino che a soli diciassette anni trascinava il Vicenza dalla C1 alla serie B con giocate mirabolanti: dodici gol in ventinove partite oltre agli assist. Era la prima stagione in cui il suo nome usciva da Vicenza e la sua fama valicava la provincia. Una fama, una gloria che Baggio ha sempre pagato al caro prezzo della sofferenza fisica. Nel maggio del 1985 il primo, gravissimo infortunio che influirà sulla sua carriera, in una partita contro il Rimini allenato da Arrigo Sacchi: il ginocchio destro va in fumo, crociato anteriore e menisco è la diagnosi che lo porta a operarsi in Francia dal professor Bousquet. All’epoca questo tipo di interventi non sono di routine e la ripresa dell’attività incerta. Sono giorni di dolori atroci: Baggio è allergico agli antiinfiammatori e beve l’amaro calice della sofferenza fisica e dei pensieri negativi che affollano la mente quando si sta male. La Fiorentina lo ha appena acquistato e potrebbe far valere una clausola contrattuale che gli consentirebbe di svincolarsi ma i Pontello decidono di puntare su di lui. Il primo anno a Firenze gli serve per riabilitarsi e conoscere l’ambiente. Poi, finalmente, l’anno successivo torna in campo ma a pochi giorni dall’inizio dell’annata si infortuna nuovamente al menisco e torna a giocare solo nell’ultimissimo scorcio di campionato. Baggio, però, non si arrende: nella sofferenza fisica e morale che vive dopo ogni operazione, nei lunghi mesi che lo separano dal ritorno in campo, scommette su se stesso. Si sente messo alla prova dalla vita, vede il suo sogno di diventare calciatore sempre in bilico e, per reazione, non cede di un centimetro. Ostinazione, tenacia, orgoglio gli vengono dal carattere e dalla pratica del buddismo, al quale si avvicina proprio a Firenze nei giorni in cui fa otto ore di fisioterapia al giorno. E, finalmente, arriva anche il momento in cui la sfortuna decide di guardare altrove: nel campionato 1987-88 finalmente Baggio riesce a collezionare con i viola 34 presenze e 9 gol tra campionato e coppe. Ha vent’anni, il tempo è dalla sua parte e l’anno successivo esplode: 41 presenze complessive e 24 reti, una media pazzesca. Ma non sono solo i gol a dare la caratura del giocatore: dribbling e assist fanno parte del suo repertorio in modo naturale e continuo. Il solo modo con cui si aggiusta il pallone per una giocata sembra una carezza delicata sulle curve di un corpo femminile. Nella metà campo offensiva (si perché, a onor del vero, in quella dove difensori e centrocampisti si mettono a protezione della propria area di rigore, Baggio raramente si affaccia) manda quasi sempre a soqquadro marcature a uomo e a zona. Prende tanti calci ma, a differenza di molti suoi colleghi, fa poche scene e non protesta quasi mai. Minuto e veloce (174 centimetri per poco più di 70 chili) riesce ad arrivare in area di rigore in mille modi, essendo capace di calciare con entrambi i piedi. Dopo un'altra annata ad altissimi livelli, culminata con la finale di Coppa Uefa persa contro la Juventus, rientra di diritto nei ventidue che Azeglio Vicini seleziona per vincere il mondiale delle notti magiche.

E’ a Roma, nel girone eliminatorio, che la sua carriera comincia a tingersi fortemente d’azzurro. Baggio non parte titolare. Le gerarchie di Vicini, dopo le amichevoli dell’ultimo anno e gli esiti del campionato, sono chiare: in attacco giocano Vialli, che il commissario tecnico conosce bene dai tempi dell’Under 21, e Carnevale, attaccante del Napoli di Maradona che sa cantare e portare la croce. Il regista è Giuseppe Giannini, anche lui reduce dell’Under 21, impiegato però una ventina di metri dietro gli attaccanti in una posizione quasi da centromediano metodista. Nelle prime due partite l’Italia vince ma fatica a segnare: Vialli ha problemi fisici, Carnevale non ingrana e oltretutto manda in mondovisione Vicini a quel paese dopo una sostituzione. Nella terza partita con la Cecoslovacchia, da vincere nonostante la qualificazione già acquisita per poter rimanere a giocare a Roma, per la prima volta ai nastri di partenza dell’attacco ci sono Schillaci e Baggio. Totò segna quasi subito, Baggio sente l’esordio e nei primi minuti è un po’ bloccato. Perché gli spettatori possano stropicciarsi gli occhi bisogna aspettare il 78° minuto, quando Giannini appoggia al compagno un pallone. Baggio temporeggia sulla linea del centrocampo, chiede velocemente triangolo al Principe che lo ha seguito in avanti e poi comincia a dipingere una dei suoi capolavori. Si accentra mentre un difensore avversario tenta inutilmente di fermarlo in scivolata. Avanza, in difesa lo aspettano ai limiti dell’area. Non sanno cosa fare i lungagnoni cechi per provare a fermarlo: Roberto è ormai lanciato, palla al piede li salta di sicuro. Prendendo campo arriva dentro l’area e, eludendo l’ultimo, vano tentativo di contrasto di un difensore, segna uno dei gol più belli della sua carriera, infilando la palla in rete con un perfetto rasoterra. L’Olimpico esplode in un tripudio di bandiere tricolori mai viste prima e che mai più si rivedranno dopo quei mondiali. In tribuna stampa i giornalisti stranieri snocciolano superlativi a non finire in tutte le lingue. Baggio è definitivamente entrato nella storia della Nazionale anche se l’ultima parte di quel mondiale è amara per lui, escluso dalla formazione iniziale che disputa la sciagurata semifinale contro l’Argentina, e per la squadra, che riesce a raccogliere solo un terzo posto che sa di delusione dopo le premesse e il bel gioco espresso durante tutta la manifestazione.
Alla fine di Italia ’90 Baggio sa che il capitolo iniziale della sua carriera si è concluso: controvoglia deve lasciare Firenze, la città che ha puntato su di lui, l’ha aspettato nei momenti più cupi, l’ha cullato per cinque anni. La Juventus lo fa entrare nel suo progetto di rinnovamento per diventarne l’alfiere. Roberto non è convinto, esterna il suo legame con Firenze appassionatamente. Ma il calcio è anche, purtroppo, business, lavoro, carriera. L’arrivo a Torino, dopo lo scintillante mondiale disputato, segna il passaggio all’età delle responsabilità, delle aspettative da non deludere, delle vittorie da ottenere a tutti i costi. Il primo anno con Maifredi, però, per i bianconeri è deludente: in campionato non riescono nemmeno a qualificarsi per la successiva edizione della Coppa Uefa. In Europa il loro cammino si ferma in semifinale col Barcellona, nonostante i 9 gol di Baggio che ne fanno il capocannoniere della manifestazione. L’episodio più eclatante di quell’annata si consuma a Firenze contro la sua ex squadra: Baggio non tira un rigore concesso alla Juventus (che poi verrà sbagliato) e, a fine partita, raccoglie una sciarpa viola caduta ai bordi del campo. Atteggiamenti che non piacciono a società e tifosi ma questo è Baggio, prendere o lasciare. E lui sa che lasciarlo è difficile, tanto che anche nella Juventus restaurata di Trapattoni il suo posto non è in discussione. La stagione migliore con i bianconeri Roberto la vive nel 1992-93, quando, da protagonista assoluto, vince Coppa Uefa, Pallone d’Oro e Fifa World Player.  (FINE PRIMA PARTE)

Fonte: a cura di Paolo Valenti

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