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Amarcord: Roma-Juventus 3-0

condividi su facebook condividi su twitter 29-08-2015

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Amarcord: Roma-Juventus 3-0

PAOLO VALENTI - Il 16 marzo 1986 Roma si sveglia lucente: anche il sole sembra voler prendere presto un posto allo stadio Olimpico, dove nel pomeriggio Roma e Juventus, le regine degli anni ottanta, si affronteranno per l’ultima volta del decennio in una sfida che vale per il titolo. Cinque sono i punti che separano le due squadre: non pochi, considerando che la vittoria ne concede solo due. La Roma ha perso la domenica precedente a Verona una partita che avrebbe quanto meno meritato di pareggiare. Ma la sconfitta è stata ben metabolizzata da ambiente e squadra, che da diverse settimane gioca il miglior calcio d’Italia, quel calcio disegnato da un giovane Eriksson non ancora assorbito dalle alchimie tattiche del campionato italiano. Un calcio fresco, veloce, fatto di gioco verticale, spinta sulle fasce e pressing a tutto campo. Vincere oggi significherebbe accorciare significativamente le distanze in classifica e assestare un colpo pesante alle certezze della Juventus, che fino a pochi mesi prima si sentiva già con l’ennesimo scudetto in tasca.
Lo stadio non ha i posti numerati, motivo per cui l’accesso agli spalti è consentito già in mattinata: alle undici la Sud è piena, i distinti un’ora dopo. In Tevere, all’ora di pranzo, è difficile scorgere spazi liberi. E’ il rituale dei big match, fatto di ore di attesa consumate tra discussioni tra amici, lettura dei giornali sportivi e apertura della carta stagnola dei panini preparati a casa la sera prima. C’è chi preferisce comprare quelli che sanno di plastica direttamente allo stadio e chi acquista a prezzi fuori mercato “aranciate, gelati, Coca Cola e caffè Borghetti” dai venditori che fanno su e giù per i gradoni. Sono le ultime ore di un’attesa che dura da una settimana in cui, a scuola e negli uffici della città, difficilmente hanno trovato spazio altri argomenti. Ore pesanti, scandite dalle continue occhiate all’orologio per controllare quanto manca alle 15.
Roma e Juventus, le regine degli anni ottanta, con protagonisti di vecchia data e nuovi attori. I bianconeri ruotano ancora intorno all’estro raffinato di Michel Platini. Falcao, da pochi mesi, è entrato negli almanacchi giallorossi con una vicenda di carte bollate e reciproche accuse con la famiglia Viola che ne ha chiuso la storia con la Roma senza eleganza. Ma oggi non ci pensa nessuno: tra gli spettatori serpeggia la curiosità legata alle voci sulla coreografia spettacolare che si dice sia stata preparata in grande stile. Nessuno può immaginare quello che succede nel momento in cui, finalmente, le squadre escono dagli spogliatoi, quando dalle file superiori dell’Olimpico centinaia di strisce gialle e rosse calano verso il basso come vele che spingono la squadra alla vittoria. Gli stessi giocatori juventini rimangono impressionati da uno spettacolo che riescono sportivamente ad applaudire. Il colpo d’occhio è unico e carica il pubblico di tutta la passione di cui è capace: non è solo la Sud a levare cori verso il cielo. Distinti, curva Nord, Tevere e persino la Monte Mario intonano a tutta voce l’incitamento più in voga del momento, quello sulle note dell’armata Brancaleone. Quando i giocatori si sciolgono verso le loro posizioni di partenza, lo scroscio di applausi straborda l’Olimpico. Il tempo per la speranza o l’angoscia di vincere dura troppo poco: al secondo minuto, su corner perfetto di Di Carlo, Graziani incorna di testa a due passi da Tacconi. È il prologo di un monologo che trova conferma alla mezz’ora quando, servito da un cross dalla destra di Ancelotti, Pruzzo incorna alla sua maniera facendo esplodere la sua gioia con uno streap tease sotto la curva che, pur costandogli un’ammonizione, inaugura un trend. La Juve è stordita, sembra di passaggio per una visita turistica prima di un’udienza papale. La squadra di Eriksson, non paga del risultato, continua a dispiegare schemi e giocate da manuale. Anche dopo l’espulsione di Pruzzo, che rimedia un secondo giallo, l’inerzia della gara non cambia, trovando il suo suggello definitivo nel terzo gol firmato Cerezo.
E’ metà marzo e la Roma può sognare una primavera baciata dal sole di questa domenica indimenticabile per chi l’ha vissuta.       


Fonte: a cura di Paolo Valenti

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