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11 anni senza il Pirata, il ricordo di Giuseppe Roncucci a InsideRoma: "Era nato per la bicicletta"

condividi su facebook condividi su twitter Di: Francesca Ceci 28-02-2015 - Ore 12:15

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11 anni senza il Pirata, il ricordo di Giuseppe Roncucci a InsideRoma:

Piano piano comincia a superare il gruppo sulla sinistra, 1,2,3,4 ,50, 62, 63, 64 Gotti, 65 Jalabert. 800 metri all'arrivo, vince la tappa senza neanche alzar le mani perchè non è ancora sicuro di averli rimontati tutti.

E' romagnolo, si chiama Marco Pantani, per tutti Il Pirata. Dopo di lui niente sarà più lo stesso nella storia dello sport a due ruote. Perchè lui vince. Ma non solo. Lui vince entusiasmando e ogni volta che inizia la salita è una promessa di felicità.

Il padre Ferdinando detto Paolo fa l’idraulico, la mamma Tonina e la sorella Laura hanno un chiosco di birra e piadine in paese. A 12 anni Marco, come tutti i bambini di quell'età gioca a pallone, poi al diavolo il pallone, lui s’inventa la bici.

Giuseppe Roncucci detto Pino è per Marco “il personaggio più importante della mia vita a livello ciclistico”. Nel ‘90 dopo un anno da dilettante nella Rinascita di Ravenna vince due tappe in Calabria alla Sei giorni del sole, va alla Giacobazzi di Modena. Il 5 agosto ’92 diventa professionista. E' con Pino nell’ufficio di Davide Boifava, ds Carrera-Tassoni, il contratto è pronto, sul tavolo, manca solo la firma, ma lui non ci sta: “Che succede se vinco Giro e Tour?”. Detto fatto, fa riscrivere il contratto.
Come dire, ha carattere da vendere il ragazzo.

Noi di Insideroma abbiamo intervistato Giuseppe Roncucci per ricordare Marco che se n'è andato in un giorno bugiardo di febbraio, il 14 febbraio del 2004. Una storia bella e dolorosa che ha segnato in modo indelebile la vita di chi questo sport lo ha amato.
Chi era bambino in quegli anni finiva i compiti prima delle 16 perché poi accendeva la tv, si metteva sopra al letto insieme al papà e guardava il Pirata che scalava le montagne.
Chi è bambino oggi e Pantani non l'ha neanche mai visto in tv, sale sulla bici indossando una maglia che porta impresso quel nome e si lega sulla testa una bandana sognando di essere il Pirata.

Questa è la storia di Marco Pantani. Una storia umana e sportiva. Questa è la storia di un artista della fatica, di un poeta dei pedali e di un musicante del vento. E noi ve la vogliamo raccontare perchè tutto si può dire di Marco, ma lui resterà Pantani. Per sempre.

La sua bicicletta non si è mai fermata. Per chi lo ha amato e lo ama ancora, corre spedita verso altri traguardi, risale le montagne e saluta folle osannanti, mentre Marco si alza sui pedali con il sole sulla faccia all'inizio dello strappo e prende il volo verso giorni di gloria che sono durati troppo poco, per insegnarci che siamo tutti “come una bicicletta con dieci velocità. La maggior parte di noi ha marce che non userà mai” , Charles Schulz. 

Pino, in una precedente intervista, ha dichiarato: "Mi basta socchiudere gli occhi e mi sembra di vederlo ancora lì: in testa a tutti. Marco Era un artista. Senza regole, con l’istinto di chi è nato predestinato per andare in bicicletta". 
Ho conosciuto Marco a 18 anni, io seguivo la Giacobazzi, una squadra fortissima di dilettanti che spopolava in tutta Italia. Quando leggevo gli articoli sul giornale dedicati alla Giacobazzi , ogni tanto compariva il nome di questo Pantani che vinceva negli esordienti, negli allievi e vinceva in salita per distacco. A un certo punto, da juniores, fa una corsa qui vicino a Forlì organizzata da un mio amico e mi son detto voglio andare a vedere questo ragazzino, anche perche ero interessato a due friuliani. Due km dal traguardo, Monte Coronaro, vicino al Fumaiolo, gara durissima,vedo venire su il Della Vedova che era quello che ci interessava, e poi vedo quel ragazzino esile, con due occhi furbi, sembrava giocasse al gatto col topo, come a dire:"adesso quando arriviamo su ti metto a posto io". Così fu, primo Pantani secondo Della Vedova. 
Presi Della Vedova, Marco rimase ancora juniores, perche aveva un anno in meno, ma io continuai a seguirlo attraverso il medico della Giacobazzi che seguiva le juniores dove correva Marco e continuava a parlarmi di questo ragazzino esile ma potente in salita.
Poi in quell'anno li si ruppe un piede e non ottenne grandi risultati. L'anno dopo, vinse un paio di corse, verso luglio mi mandò a chiamare tramite un amico perchè voleva venire alla Giacobazzi, andai io a Cesenatico al chiosco di piadine di sua madre, c' era anche il papà e la persona che lo seguiva nello juniores. Gli chiesi a bruciapelo perchè voleva venire alla Giacobazzi e mi rispose in tutta tranquillità che voleva venire perchè la squadra era forte e lui voleva vincere il Giro d' Italia. 
Ma come, dissi io? Vuoi vincere il Giro d' Italia appena passato nei dilettanti?
Io voglio vincere il giro, ribadì.
Madonna, hai le idee molto chiare, dissi io. Se vuoi che ti preparo per vincere il Giro d'Italia va bene, però facciamo un po' di test a forli per vedere che motore hai. Venne e fece test, valutazioni. Io ho visto tanti corridori, ma quando finii, dentro di me pensai, "Questo non vince solo il Giro d'Italia nei dilettanti, questo vince anche il Giro nei professionisti". 
Aveva un motore eccezionale, dono di madre natura, in più aveva una convizione che gli dava certezza di dove sarebbe arrivato. Noi potevamo fare poco, si, potevamo lavorare per farlo migliorare, ma lui quelle doti le aveva dalla nascita. 
Infatti, nei 3 anni che è stato con me alla Giacobazzi, in tre giri d' Italia nei dilettanti, fece un primo e un secondo e un terzo posto ma se non avesse avuto la sfiga che lo perseguitava da sempre, avrebbe potuto vincerli tutti e tre. 
Poi è passato professionista alla Carrera, quando andammo a firmare il contratto a fine 1991 si dimostrò il Pantani che voleva sapere cosa andava a fare. La Carrera era la squadra più forte del mondo in quel momento, con Chiappucci e non solo vinse tutto quello che poteva vincere. Fece un contratto anche discreto, quando gli chiesero se fosse soddisfatto del contratto rispose: "del contratto sono soddisfatto, ma non ci sono i premi se vinco il Giro d'italia, il tour, la tappa?"

Lo guardarono allibiti, come dire, questo da dove viene, poi il ds mandò la segretaria a prendere un foglio bianco e butto giu una serie di premi se avesse vinto  il tour, la tappa, il giro, e molti di questi soldini glieli ha portati via.
alla fine quando ci salutammo gli dissero: Marco hai fatto un affare e lui rispose: "L'affare l ha fatto lei perchè io vengo per vincere".
Questo era Marco Pantani, carattere, caparbietà da vendere. Per lui, la bicicletta era tutto.

Anche grazie a questo suo carattere, Pantani è stato capace di esaltare le folle. Per molti il ciclismo si è chiuso con Pantani. A 11 anni dalla sua scomparsa, è questa la cosa più bella che Marco ha lasciato? Essere rimasto nel cuore dei tifosi senza essere praticamente mai sostituito da nessuno?

"Io credo di essere uno delle ultime persone che sentì Marco prima della morte, 20 giorni prima. A fine 2004 la mamma di Marco, dopo la morte di Marco, mi ha chiesto di fondare una squadra di ragazzini e io ho fondato con amici la Pantani Corse, con sede a Forlì, esiste da 11 anni. Una parte a Froli, una a Cesenatico, d'estate quando vado a Cesenatico li alleno e posso dirti che tutti i ragazzini si atteggiano a Pantani. 
Anche nel Lazio è nata una squadra, I pirati, in ricordo di Marco.
Io e Tonina siamo andati in Croazia, abbiamo portato biciclette, materiali, ogni tanto mandiamo giù qualcosa, Marco è conosciuto in tutto il mondo.
A volte i nipoti di Tonina che gestiscono il Museo mi chiedono di andare lì, io  conosco il Museo come le mie tasche perche ho contribuito a metterlo giù, posso dirti che la gente è una cosa pazzesca, vengono dal Brasile, dalla Russia, dall' Argentina, da tutte le parti del mondo, stanno lì delle ore leggono, piangono, quando escono fuori si appoggiano alla balaustra. Ti racconto una cosa, quando li vedo poggiarsi alla balaustra, a volte penso che stanno male, vado a vedere, mi avvicino e vedo che piangono per la commozione. 
Al cimitero c 'è la coda. E' impressionante cosa ha mosso questo ragazzo, cosa continua a muovere. E' vero, hai ragione, i tifosi non l'hanno mai sostituito.

Secondo lei Marco aveva la percezione di essere cosi tanto amato? Aveva coscienza di cosa rappresentasse non solo per i bambini, ma anche per generazioni di adulti? 
"La percezione l'ha avuta, ti racconto questo episodio così ti faccio capire chi era Marco. Siamo a fine '98 quando vince il Tour, Cesenatico era in festa per Pantani, c'era l'allora presidente del Consiglio Romano Prodi, piazza gremitissima, non ci si stava, erano tutti presenti per lui. Lui viene giù dal Grand Hotel con Prodi c'era una piccola passarella per andare sul palco, io ero con mia moglie lungo la passarella con altri ragazzi in mezzo alla folla, tutti urlavano Forza Pantani, Sei un mito, così quando è passato anche io ho gli ho gridato: Bravo Marco!
Fece due metri, poi si fermò, lasciò Prodi, aveva captato la mia voce tra la folla, tornò indietro e mi abbracciò con quegli abbracci che dava lui che ti rompeva le ossa per farti sentire la sua riconoscenza.
"Hai vi, dove so arivè?" mi disse in dialetto. Io gli dissi, "Vai, ti aspettano tutti, è il tuo momento". 


In quel momento ha capito, sapeva che era in cima al tetto del mondo, la folla lo osannava,era su tutti i giornali. Lui purtroppo aveva un carattere particolare, un orgoglio senza fine, per quello non ha mai accettato Madonna di Campiglio perchè si sentiva defraudato. Quello determinò la sua caduta in depressione, si è lasciato andare su cose che non avrebbe mai dovuto. A lui bastava che uscisse in bici e che uno solo, uno stupido, gli gridasse "Drughè", ecco per lui era la fine di tutto, il suo orgoglio non lo accettava. Io gli ho parlato un mese prima che morisse, come tante altre volte per cercare di convincerlo a cambiare rotta, alla fine di tutti i discorsi era sempre : "Pino, a Madonna di Campiglio mi hanno tolto quello che avevo guadagnato onestamente". Poi la depressione, amici sbagliati che lo hanno portato in una strada sbagliata, ma per me era salvabile, sebbene lui fosse convinto di uscirne quando voleva.  Io l'ho incontrato tante volte, anche se faceva usa dello sostanza, posso dirti che era euforico, ma mai fuori di testa. Non ha mai accettato il responso di Madonna di Campiglio, è stato tartassato da Procure, indagato, ma lui non è mai stato fermato per doping, era un fermo di 15 giorni".

Pino, possiamo dire che quello è stato un momento spartiacque, il suo tarlo?
"Io ho sempre detto che per me Marco è morto a Madonna di Campiglio. Adesso l'immagine di Marco è stata rivalutata. Certo, Marco non ce lo ridà più nessuno, ma la sua immagine nel mondo, quel che rappresenta per i bambini che si atteggiano a Pantani, a 5,6 anni, 12 anni, sanno tutto di Marco e pensa che non erano neanche nati".

Torno all'episodio in cui Marco lasciò il presidente Prodi, si staccò dalla folla e la venne ad abbracciare per dimostrarle la sua riconoscenza. Se adesso potesse lei abbracciarlo e rivederlo per pochi secondi cosa gli direbbe?
"Tutti noi che abbiamo provato a salvarlo abbiamo perso, volevamo riportarlo sulla strada della bicicletta e della serenità. Ti racconto un episodio, in una delle ultime volte, negli ultimi mesi di vita che sono andato a trovarlo, mi disse: Pino ma se smetto di andare in bici cosa mi metto a fare? Io gli risposi: Mettiti a fare stuzzicadenti a punta tonda, col tuo nome, li vendi lo stesso".
E allora io gli direi questo, gli direi: "Marco tu sei nato per la bicicletta, torna alla tua bicicletta, alla tua passione"

 


 

SI RINGRAZIA LA FONDAZIONE PANTANI 

 

Fonte: InsideRoma.com

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