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Il dolore della sconfitta

condividi su facebook condividi su twitter Di: Paolo Valenti 21-11-2016 - Ore 10:23

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Il dolore della sconfitta

PAOLO VALENTI - Così è successo di nuovo. Il nastro si è riavvolto, un rewind che ha riportato la Roma ad inizio stagione, a quella trasferta di Oporto che i più seguirono dai luoghi di vacanza vivendo le stesse sensazioni provate ieri: un primo tempo ben giocato e chiuso in vantaggio, una ripresa sciagurata che, a differenza di quest’estate, non è riuscita a salvare nemmeno il pareggio. Oporto, e il Porto, come ultimi episodi in linea cronologica di una lunga serie trasmessa a più riprese sugli schermi giallorossi che ebbe inizio in una lontana notte della primavera del 1984 e che sembra non voler finire mai. Una serie che ha il grande fascino (perverso) di far credere agli spettatori che alla fine il momento per spiccare il volo e lasciare definitivamente alle spalle un passato da dimenticare è arrivato. Invece la serie deve continuare, e la protagonista, incapace di scrollarsi di dosso le sue debolezze, fallisce nuovamente la sua occasione e ricomincia daccapo. Questa sembra essere la storia della Roma, il suo atavico destino: ogni opportunità per dimostrare di aver fatto il cambio di mentalità fallisce nel momento in cui si presenta. Un patrimonio genetico che sembra impossibile da modificare, manifestandosi puntale e indifferente al succedersi di presidenti, allenatori e giocatori, inesorabilmente travolti, una volta vestiti quei colori, dall’incapacità di diventare “grandi”. Un termine volontariamente messo tra virgolette perché da interpretare nella sua accezione pedagogica prima che sportiva. Diventare grandi inteso nell’accezione che viene data al termine quando ci si rivolge ai bambini:  stabilire i propri obiettivi, accettare le responsabilità che questi comportano, lottare fino allo stremo per raggiungerli. Al DNA della Roma sembra mancare il cromosoma che stimola l’ultimo punto. Non tanto, almeno ieri, per la mancanza del risultato (una squadra come l’Atalanta di questo periodo, in Italia, può battere chiunque) ma per il modo in cui è maturata la sconfitta: un secondo tempo arrendevole come quello di ieri, deficitario da ogni punto di vista, denota una mancanza di carattere che una squadra che punta al vertice non si può permettere.
Difficile trovare i rimedi, perché la personalità non si compra al mercato e solo in parte si può costruire. E il modo migliore per farlo è raggiungere con continuità risultati positivi. Spalletti, ieri non esente da responsabilità, dovrà tornare a preparare sermoni sulla necessità di lavorare per arrivare a raschiare il barile, sperando che ai giocatori non sia necessario rinfrescare un altro concetto che è presupposto fondamentale per il quale passa ogni proposito di riscatto: il dolore della sconfitta.
Utilizzare la Juventus come parametro di riferimento, pensare “a fare come loro”, seppure intento animato dalle migliori intenzioni, in questo momento può essere più frustrante che di stimolo. Meglio, allora, guardarsi dentro, raschiare il barile della propria coscienza e delle energie per provare, più semplicemente, a migliorare se stessi. 

 

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