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Intervista a Emanuele Cerman, regista de "In nomine Satan": "Amo il calcio di una volta e Totti. Garcia potrebbe fare l'attore "

condividi su facebook condividi su twitter Di: Eduardo Barone 04-07-2014 - Ore 13:05

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Intervista a Emanuele Cerman, regista de

Emanuele Cerman è un autore, attore e regista classe '76. Inizia la sua carriera teatrale nella compagnia di Ettore Scola, per poi passare alla televisione e al grande schermo. Nel 2012 debutta alla regia di un lungometraggio con "In nomine Satan" (clicca qui per leggere la trama), film che sta riscuotendo notevoli successi internazionali, avendo vinto alcuni premi ai festival cinematografici di New York e New Delhi). Con lui abbiamo parlato di cinema, cultura, e della sua passione per il calcio e la Roma in particolare.

"In nomine Satan" è il tuo debutto alla regia. Il film tratta di una vicenda molto delicata (a me personalmente ricorda come tema, con le dovute distinzioni  ovviamente, un film che ho visto poco tempo fa: Devil's Knot, basato sul caso dei West Memphis Three). Perchè hai scelto questo argomento?  Che cosa ti ha impressionato di questa storia e su cosa attraverso questa pellicola vuoi fare chiarezza? 

"Sono due film che hanno una sottile linea in comune: la verità apparente alla quale tutti crediamo. “In nomine Satan” però è uscito per la prima volta in sala nell'aprile 2012 in concorso al Roma Indipendent Film Festival, mentre Devil’s Knot nel Maggio 2013 negli Usa. Quindi anche se in piccolo, abbiamo anticipato gli americani su un argomento simile. Il film mi è arrivato addosso improvvisamente, inizialmente avrei solo dovuto lavorarci come attore, e dalla scrittura era destinato ad una fiction di un paio di puntate, poi a una settimana dalle riprese mi sono trovato a vestire i ruoli di sceneggiatore, regista, montatore, attore e infine produttore col compito di portarlo al cinema. Ho avuto solo dieci giorni a disposizione per le riprese, e una settimana per riscrivere tutta la storia e rendere il film il più possibile mio. Quando si affrontano temi delicati, bisogna prendersi delle responsabilità e se non mi fosse stata concessa la libertà di rimettere mani sulla sceneggiatura non avrei mai accettato. Il mio obiettivo ero quello di non speculare sul dolore, ma di realizzare un film che ponesse domande e dubbi su una delle vicende più scioccanti e misteriose del nostro Paese, e volevo farlo non raccontando solamente i fatti per come ce li hanno sempre raccontati. Io non ho la presunzione di portare nessuna verità sulla vicenda delle “Bestie di Satana”, mi limito a mostrare punti di vista differenti e a creare dei dubbi: non sono il tipo che quando legge o ascolta una notizia ritiene che essa sia vera solo perché a dirlo sono i media, rimango sempre nel dubbio e inizio a farmi delle domande, le stesse che vorrei generare nello spettatore con il mio film".

 

In linea generale, il cinema italiano delle ultime decadi è poco incline a trattare realtà sociali e periodi storici difficili. Solitamente sono le commedie spensierate che fanno gli incassi al botteghino. Da questo punto di vista questo è un film controcorrente, volto a far luce su un tragico caso di cronaca. Possiamo dire che in Italia è difficile fare un film di riflessione? 

"In Italia, manca coraggio e soprattutto un’industria cinematografica. Con questo non voglio certo attaccare le commedie, anche perché alcune, quelle intelligenti, sono meritevoli dei loro successi. Il problema è che proporre di produrre un cinema  differente, se non si hanno alle spalle produzioni importanti e nomi noti, è praticamente un buco nell’acqua, per non parlare poi della distribuzione. Questo è un limite culturale e imprenditoriale gigantesco, quasi da paese del terzo mondo. Così si è costretti a contare solo sulle proprie forze e sulla propria determinazione,  ma nonostante queste, un film indipendente, salvo successi nei festival o di vendita all’estero, in Italia viene strozzato da un sistema incapace di generare alternative e quindi è costretto a restare nella maggior parte dei casi nel cassetto di chi lo realizza. Io nonostante tutte le difficoltà riscontrate in questi 30 mesi di lavoro per far uscire il film, mi sento un privilegiato, ma sinceramente non devo dire grazie a nessuno, se non a me stesso: il mio obiettivo era quello di non umiliare il lavoro di tutte quelle persone che generosamente mi hanno accompagnato in questa avventura. Ma quando fai un film praticamente senza soldi, in condizioni estreme, difficile per argomento e ti trovi a prendere premi all’estero, a trovarti le sale da solo in Italia, a iniziare trattative di vendita internazionali (il film uscirà in sala probabilmente anche in 4 città degli Sati Uniti), a ottenere il favore del pubblico e anche della maggior parte della critica (soprattutto quella più sensibile), allora ti rendi conto che il problema non sei tu, ma è il sistema. Sono convinto che in Italia ci siano tanti talenti nascosti, e mi auguro che presto possano avere la loro grande possibilità, come lo auguro anche a me. Non abbiamo nulla da invidiare agli stranieri, se non un sistema più virtuoso e meritevole del nostro: che sia quello americano o quello francese.

 

Credi che le ultime serie tv  Gomorra e Romanzo criminale, entrambe dirette dal regista Stefano Sollima con il quale hai lavorato, siano un segnale positivo verso questa cinematografia di riflessione? 

"In Gomorra non ho avuto ancora la fortuna di lavorare, ed è per me la più bella serie televisiva italiana di tutti i tempi, non a caso è firmata da Stefano Sollima, un regista straordinario con il quale ho avuto il piacere di lavorare quando mi chiamò per girare una scena in “Romanzo criminale”. In Gomorra ci sono poi episodi firmati anche da Cupellini e dalla Comencini e anche loro sono stati parte essenziale nella creazione della serie italiana che farà invidia a tutto al mondo, americani inclusi. L’accento napoletano è nelle mie corde e mi esalterebbe partecipare alla seconda serie anche con un piccolo ruolo, sarebbe quasi come realizzare un piccolo sogno da fan! Per quanto riguarda l’accezione culturale del progetto, tutto ciò che tocca la realtà fa riflettere. Gomorra, come Romanzo Criminale in parte lo fanno, anche se si concentrano prevalentemente sul mondo criminale escludendo così tutto ciò che è intorno, soprattutto perché condizionate dal fatto di essere strutturate come serie televisive e non come film. Se dovessi citarti un film recente, che costringe lo spettatore a riflettere, il primo che mi viene in mente è “Gli equilibristi” di Ivano De Matteo. Un film che ho amato molto e che ho visto tre volte al cinema".

 

Quanto è difficile per un giovane regista emergere tra problemi di budget e un sistema che ti garantisce poca fiducia? 

"E’ difficilissimo, e il rischio maggiore è perdere fiducia in se stessi. Bisogna costantemente seguire e credere nei propri sogni, anche nei momenti di maggiore sconforto, perché alla fine non c’è sistema che possa piegare la volontà di un essere umano. Sta sempre a noi, come però è giusto domandarsi se veramente siamo disposti (e quanto) a soffrire per arrivare dove vogliamo. Fare un film, raccontare una storia, nasce da un’esigenza profonda e per farlo bisogna essere maturi e preparati. Inutile cercare confronto guardando con invidia la vita di chi ha le spalle coperte e il futuro segnato ancora prima di sceglierlo, ma invece guardare solo dentro se stessi, formarsi, studiare, crescere e prepararsi per essere pronti al momento opportuno. Questo me lo ripeto ogni giorno, perché c’è sempre qualcuno più bravo e meritevole, che ogni giorno lotta come noi per la sua possibilità. Guardare sempre ai migliori e prendere esempio da loro, non perdere tempo a giudicare con cattiveria gli altri, non disperdere e rimanere concentrai: sono le uniche cose che saprei consigliare a un giovane per affrontare i mulini a vento, prima di raggiungere il proprio orizzonte".

 

Passiamo ora ad argomenti più leggeri. Lo sport. E' parte integrante del tuo tempo libero? Che rapporto hai con il calcio?

"Il calcio è stato il primo amore della mia vita, ora però lo guardo poco in generale, ma nonostante l’età e due ernie del disco, gioco ancora a livello amatoriale in due squadre: con il Borogorsso nel campionato d’Elite di Roma e con l’Osvaldo Soriano: indossando la prestigiosa maglia della nazionale italiana scrittori. Sono un calciatore mancato nei mie pensieri, e culturalmente sarei stato uno sportivo disposto al sacrificio dell’allenamento e attento alla tattica, ma i piedi erano quelli che erano e così da ragazzino feci subito pace con la realtà, capendo che non sarei mai potuto arrivare dove sarei voluto arrivare. Il calcio lo vedo come una metafora della vita, sono molto legato a quello degli anni ’80, con i palloni di cuoio duro a scacchi, i calzettoni tirati giù alle caviglie, le maglie di lana senza nome, i muscoli sulle gambe e non sul petto, i giocatori in campo bendati e sporchi di sangue se si facevano male, i tamburi allo stadio, il grido sincero e scomposto di un giocatore dopo il gol, i numeri delle maglie da 1 a 16... Un calcio che era fatto di uomini, di cuore e soprattuto con molto meno denaro".

 

Sappiamo che sei anche un tifoso giallorosso. Qual è il tuo primo ricordo legato alla Roma e quale periodo e giocatori ti hanno colpito di più? C'è una data o un evento in particolare che ti ricordi?

"Sono nato nel 1976: a solo sei anni ho vissuto l’emozione del primo scudetto (il secondo della Roma) e a quella stagione e a quei calciatori rimarrò sempre legato, anche se non potrò mai scordare quei dannati calci di rigore nella finale di Coppa Campioni l’anno successivo. Quello fu il mio più grande dolore calcistico. Il 30 Maggio 1984 compresi che sapore aveva la sconfitta. Quella Roma avrebbe meritato di vincere molto di più, ma non solo quella. Diciamo che la Roma è Olimpica perché è stata spesso presente sul podio nella sua storia, sia nelle Coppe che in Campionato, ma spesso, vuoi per sfortuna vuoi per carattere, gli è mancato quell’istante finale di bellezza che ci avrebbe regalato la gioia di tanti altri ori. Se dovessi dirti l’11 del mio cuore e i gloriosi 5 sostituti di un tempo, considerando solo i giocatori che ho visto giocare nella mia vita, sarebbero questi : (4-1-4-1): Tancredi-Cafù-Aldair-Di Bartolomei (C)- Nela- Falcao- Conti - Giannini- Ancelotti- Totti- Voeller. a disp: Cervone, Vierchowod- Candela- De Rossi- Pruzzo.  Su tutti però, il giocatore che più ha emozionato e che ancora mi emoziona è  Francesco Totti. Lo vorrei in campo anche a cinquant'anni, anche solo per tirare i rigori. Vorrei che non smettesse mai. Lui è il giocatore assoluto".

 

Rudi Garcia, oltre ad essere un tecnico capace, è anche un uomo profondo dai mille risvolti e sfaccettature. Molti dicono che abbia un volto e una personalità da attore. Che personaggio potrebbe interpretare e in che tipo di film recitare? 

"Sono molto felice di avere un allenatore come Rudi Garcia sulla panchina della Roma, mi piace molto il suo stile e come fa giocare la squadra. Ha un volto interessante, più che francese sembra un antico romano, chissà che anche lui, come Eric Cantona, un giorno non passi dal calcio al cinema. Lo vedrei bene come Totti in un film ambientato ai tempi dell’ Impero romano, ma andrebbe bene per qualsiasi ruolo da comandante o condottiero... Ma per ora lasciamolo al calcio, perché è lì che deve regalarci ancora tante soddisfazioni".

 

 

Fonte: InsideRoma.com/Eduardo Barone

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