Sport e rispetto

"Avere dei giocatori di colore in squadra e peccare di razzismo... #notoracism ignoranza pura!!!", scrive Radja Nainggolan. "Non si dovrebbe peccare di razzismo, neanche se non si avessero dei giocatori di colore nella propria squadra", aggiungo io. 

Siamo nel 2015. Ci definiamo popoli civili. Ci vantiamo di essere all'avanguardia. Paesi sviluppati, ci definiamo. E io mi chiedo: "Dov'è la civiltà?". Dov'è la civiltà, se non si è neppure in grado di guardare una partita di calcio, se non ci si sa comportare dentro e fuori da uno stadio, se si profanano le bellezze artistiche di una città che ti ospita. Se la partita di calcio è diventata una scusa per sfogare la mia violenza, più o meno repressa. 

Mi chiedo: "Cos'è la civiltà?". Cos'è? Se basta avere la pelle di un colore diverso dal mio, perché io mi senta autorizzato ad offendere, a fare i versi di una scimmia, a lanciargli una banana. A sentirmi superiore, a scherzare in un modo che non fa ridere altri che me stesso e quelli come me. Mi immagino: il proprietario di quella banana si è alzato ieri mattina, ha pensato: "Stasera giochiamo contro la Roma, vado allo stadio, ho una banana gonfiabile, quasi quasi me la porto e, se segna qualcuno di colore della squadra avversaria, gliela tiro". Ha pensato così? E questa sarebbe sportività? Un comportamento che va a prescindere dal tifo,  che esula dall'andamento del match e da chi gioca e come. Un comportamento offensivo sia per il destinatario dell'insulto, sia per la squadra che, chi offende, tifa. E non importa se si abbia la pelle chiara o scura. Esiste una parola che si chiama rispetto. Ma, a quanto pare, più si va avanti, più si dimentica. 

Lo sport nacque per sviluppare un sano spirito agonistico, la sana competizione e competitività, per divertirsi con qualcosa che fosse costruttivo. Così, però, non si diverte più nessuno..