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"Una" liberazione

condividi su facebook condividi su twitter Di: Lorenzo Imperiale 13-02-2016 - Ore 15:01

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84 giorni. 81, se si conta anche la Champions League. 709 minuti senza gol in Serie A. Tanto ha dovuto aspettare Edin Dzeko prima di poter urlare al cielo la sua gioia per un gol. Giorni passati tra tormenti e paure di un giocatore arrivato a Roma tra cori di trionfo e che già sentiva la gente attorno a lui mugugnare per una rete non fatta od un tiro ciccato. Ha sofferto come hanno sofferto i tifosi giallorossi, i quali miravano inermi l’abbattimento del gigante greco come la caduta di un Dio greco. “Ma come” si chiedevano in molti “Edin ha sempre segnato e proprio qui non la deve mettere più dentro? Non c’è niente da fare, siamo noi”. Altri, più maliziosi, dicevano: “Ti pare che il Manchester City ti regalava un giocatore? Ormai Dzeko non segna più”. Queste voci, queste cattiverie, sono parole d’amore. Sì, d’amore. E’ come una ragazza che dice peste e corna del proprio ragazzo quando si litiga, ma in fondo gli vuole e gli vorrà sempre bene. Lo ama. E questo amore, questo legame che ha Roma, che hanno i romanisti per questi giocatori e per questi colori, ha fatto sì che il giocatore non si sentisse mai solo. Mai. Ad ogni pallone sbagliato, appoggio errato, il coro era sempre lo stesso: “Daje Edin”. Perché Roma è così. Il tifoso può anche ingoiare bocconi amari, ma non abbandonerà mai i suoi giocatori ed i suoi colori. I sacrifici poi sono stati ripagati ieri sera, al minuto 84 di una giornata piovosa. Piovosa come l’ultima volta in cui Edin ha gonfiato la rete. Caso strano era sempre in Emilia Romagna, a Bologna. Sarà che ad Edin piace la pioggia, gli ricorderà i fasti di Manchester. Non si sa. Uno penserà, citando un famoso film: “Non può piovere per sempre”. Nel suo caso, magari lo facesse visti i risultati. Tutti noi durante la sgroppata di Salah abbiamo visto in mezzo e pregato che ci fosse lui, Edin. Quel gigante bosniaco ferito il quale scaraventa in rete tutte le ansie, le paure, le angosce di 84 giorni di buio e di sofferenze. Tutti noi abbiamo spinto quel pallone in rete Edin, tutti: i fantastici tifosi al Braglia, quelli a casa, in macchina, nei pub. Tutti volevano questo gol e liberarsi, insieme a te, di questa maledizione, gridando al cielo “Si, quello è il mio centravanti, quello è Edin Dzeko”. E tu, gigante rinato come una fenice, hai prima indicato la telecamera ciucciandoti il pollice (vi ricorda qualcuno?) per celebrare la nascita di tua figlia. Poi ti sei inginocchiato spalle alla curva, mostrando quel 9 alla tua gente, rimarcando che sì, sei tu il centravanti della Roma, sei tu il liberatore delle nostre paure. Sei tu che ci hai fatto vincere ieri e che sperano tutti, ci farai vincere in futuro. Una liberazione. Una, come tua figlia. Una, come la Roma.

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