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Internazionalizzazione del calcio italiano: un'opportunità per tornare competitivi

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 15-09-2014 - Ore 16:22

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Internazionalizzazione del calcio italiano: un'opportunità per tornare competitivi
L’ultima sessione di calciomercato ha segnato in maniera evidente ancora una volta il fallimento del nostro sistema calcio. 
Un fallimento dettato da una crisi strutturale, che non permette al football italiano di essere competitivo economicamente e sportivamente. Un’analisi condotta da Deloitte evidenzia la cifra spesa dai club della Premier League per potersi aggiudicare le prestazioni dei calciatori: oltre un miliardo di euro, con il Manchester United re indiscusso con oltre 200 milioni di euro spesi; a seguire la Liga spagnola con più di mezzo miliardo spesi, poi Serie A e Bundesliga con più di 300 milioni investiti e fanalino di coda delle Big Five la Ligue 1 con poco più di 100 milioni investiti e meno di quanto fatto da Manchester United e Liverpool. Se Oltremanica sono arrivati campioni come Falcao e Di Maria e in Spagna si sono accasati Suarez e James Rodriguez, nel nostro campionato si è registrato il maggior numero di operazioni, oltre 900, senza apportare un effettivo aumento del valore delle rose e senza l’arrivo di giocatori importanti.
 
Le disponibilità di spesa dei club italiani, essendo finiti i tempi del presidente mecenate, dipendono esclusivamente dalle performance economiche generate durante l’anno: impianti obsoleti, carenti di servizi per i prezzi imposti e desolatamente vuoti sono solo una delle immagini negative del nostro sistema calcio, che di certo non aiutano e invogliano i possibili sponsor a investire nel campionato italiano. Anche perché, ad eccezione di pochi casi isolati, non esiste una chiara e precisa strategia marketing, commerciale e di comunicazione a livello locale e internazionale, elemento essenziale per poter incrementare i propri ricavi. Lo dimostra il fatto che, alla prima giornata di campionato di, su 20 club di Serie A, ben 7 divise erano prive dello sponsor (Roma, Lazio, Genoa, Palermo, Sampdoria, Cesena e Fiorentina).
 
Situazione diametralmente opposta invece nel Regno Unito, ma anche negli altri tre grandi campionati europei dove solamente Valencia e Siviglia hanno la divisa priva di sponsor.Non solo anche i club più piccoli e con meno risorse economiche a disposizione hanno uno logo da apporre sul proprio kit da gioco, ma oltre a brand internazionali i marchi riportano anche le scritte in lingua originale. E’ il caso di club neopromossi dalla Championship come l’Hull City, il Burnley, ma soprattutto dello Swansea, club gallese, che grazie a un’importante pianificazione internazionale ha incrementato le proprie entrate economiche oltre i 100 milioni di euro in pochi anni e contribuito a iniziative sociali nel sud est asiatico con la creazione di academies, scuole, infrastrutture e nuovi posti di lavoro. 
 
Il processo di internazionalizzazione non viene seguito solamente nel periodo estivo con le classiche tournèe estive di preparazione alla stagione agonistica, ma viene continuamente seguito dalle società con particolare attenzione. Il Manchester United, la cui fanbase su Facebook è di oltre 56 milioni di utenti, stima che solamente il 6% dei commenti provenga da tifosi inglesi. Gli altri top club europei come Barcellona, Real Madrid, Borussia Dortmund e Bayern Monaco hanno fatto dell’internazionalizzazione un loro cavallo di battaglia, aprendo uffici commerciali in Asia e negli Stati Uniti e differenziando i pacchetti di sponsorizzazioni in base alle esigenze dei possibili investitori locali. Questo tipo di strategia ha permesso ai top club di incrementare i fatturati, facendo diventare le entrate commerciali una fonte di ricavo molto più importante dei diritti televisivi.
Per un club, estendere la propria presenza nei mercati emergenti è fondamentale per avere nuove opportunità di business e come seconda conseguenza incrementare i propri ricavi, ma il processo è lungo e articolato. Le società europee che si sono mosse per tempo stanno già raccogliendo i risultati: il Manchester United ha siglato un accordo storico prima con Chevrolet per il jersey sponsor per circa 75 milioni di euro all’anno e poi per 94 milioni di euro annui con Adidas, che conta di vendere oltre 20 milioni di maglie nel mondo e ricavarne circa 2 miliardi di euro; il Real Madrid a ottobre approverà il bilancio contenente il fatturato record di 600 milioni, dove i diritti televisivi interni pesano solamente per 120 milioni di euro. Impietoso e imbarazzante è il confronto con l’Italia: la Juve, che anch’essa ha stipulato un contratto record con adidas, ha un accordo per poco più di 30 milioni, comprensivi di royalities e licensing, e con un fatturato stimato in 275 milioni per la stagione conclusa a giugno.

Luca Saini

Fonte: sportbusinessmanagement.it

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