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La nuova frontiera del mercato: con il fondo privato il giocatore diventa come una azione in borsa

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 05-09-2014 - Ore 18:16

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La nuova frontiera del mercato: con il fondo privato il giocatore diventa come una azione in borsa

(STEFANO SCACCHI) - Prende piede, in Qatar ma non solo, l'abitudine di acquistare talenti non per rinforzare la squadra, quanto per fare un affare sulla seguente valorizzazione. Uno schema previsto anche negli Usa, dove società gestiscono l'immagine di stelle di sport e spettacolo

E' stato uno dei protagonisti del mercato appena concluso: il fondo privato del Qatar che negli ultimi giorni della sessione estiva ha acquistato promettenti giocatori europei, emblema del nuovo business delle Tpo, le "Third party ownwership", cioè la proprietà di giocatori in mano a investitori privati che affiancano o sostituiscono le società calcistiche. Uno di questi giocatori è approdato in Italia: il belga Maxime Lestienne, esterno offensivo, 22 anni, finito in prestito al Genoa. Significativa la vicenda di questo talento del Bruges, accostato anche al Milan nel corso del mercato: la società belga lo ha venduto per 12 milioni di euro all'Al Arabi, club della massima divisione del Qatar che l'ha immediatamente girato ai rossoblù, conservando però la proprietà del cartellino (Preziosi potrà riscattarlo per 20 milioni di euro). Nelle stesse ore l'Al Arabi stava trattando anche un altro ragazzo belga nato nel 1992, il centrocampista Paul-Jose M'Poku. Nei mesi precedenti era stato evocato un fondo del Qatar anche a proposito di Mauro Icardi. Perché questa società di Doha ha iniziato a rastrellare promesse in giro per l'Europa? E' un'altra manifestazione della nuova frontiera economica del calcio: acquistare calciatori giovani non per rinforzare la propria squadra, ma per fare affari privati sulla loro valorizzazione. Se Lestienne farà bene al Genoa i qatarioti potranno rivenderlo la prossima estate a una cifra consistente a qualche "big" del Vecchio Continente guadagnandoci come fosse un'azione di Borsa. D'altronde negli Stati Uniti hanno già pensato di quotare campioni di football americano a Wall Street. Ma chi c'è dietro l'Al Arabi, formazione allenata dall'ex difensore rumeno Petrescu? Le trattative sono state condotte con i dirigenti del club del Qatar. Al di là di questo primo schermo ci si addentra nelle ipotesi, fatte di voci raccolte tra gli addetti ai lavori. Qualcuno racconta che il fondo sarebbe solamente basato in Qatar ma sarebbe controllato da investitori inglesi. Altri invece sostengono che si tratti di una partnership che coinvolge elementi della famiglia Al-Thani, la dinastia che regna sull'Emirato e tramite il Qatar Sport Investments possiede il Paris Saint Germain. Numerose squadre della Serie A del Paese mediorientale sono controllate dai componenti della famiglia Al-Thani (fino al 2009 il presidente dell'Al Arabi è stato Faisal Bin Mubarak Al-Thani) casato composto da centinaia di persone. Secondo questa ricostruzione, la sponda europea del fondo sarebbe Jorge Mendes, il potentissimo agente e intermediario portoghese, signore incontrastato di questo mercato con i trasferimenti milionari di Falcao e Di Maria al Manchester United. Al Thani-Mendes, una sinergia che mobiliterebbe risorse quasi illimitate. Difficile spingersi oltre queste indiscrezioni perché il business delle Tpo è circondato da una certa riservatezza. Meglio mantenere un basso profilo dal momento che i regolamenti sportivi non sono uniformi: in alcuni Paesi è consentito ciò che altrove è vietato, ma nella maggior parte dei casi manca una disciplina specifica e in caso di controversia ci si affida alla giurisprudenza favorevole del Tas di Losanna. Di sicuro gli emirati del Golfo stanno diventando un punto di riferimento. A Dubai opera il Royal Football Fund che si propone investimenti sui calciatori ed ha alle spalle gruppi finanziari: United Financial Partners basato a Hong Kong e United Investment Bank che ha tra i suoi dirigenti anche un italiano, Antonio Perini, per 12 anni direttore finanziario della Banca di San Marino. Perini è anche membro del board di Royal Football Fund. Ormai in queste operazioni entrano grandi banche che inseriscono il portfolio calciatori tra le possibili diversificazioni di investimento da proporre ai clienti. I siti internet di queste realtà economiche contengono una girandola di riferimenti a paradisi fiscali: Cayman, Isole Vergini Britanniche. D'altronde è a Jersey, isola britannica della Manica con regime fiscale agevolato, che ha sede la filiera di società della Quality Sports Investments, il gruppo che sarebbe riconducibile a Jorge Mendes e all'ex dirigente del Chelsea, Peter Kenyon (da anni si parla di questo sodalizio che aveva attirato anche la curiosità della Fifa). Lo schema si allarga agli Stati Uniti e interessa le grandi agenzie che gestiscono l'immagine delle stelle dello spettacolo e dello sport. Un mix che si ritrova tra i soci fondatori di Doyen Sports Group, creata a Londra ma dotata di sede legale a Malta: il portoghese Nelio Lucas, Simon Olivera storico pr di Beckham e Matthew Kay, ex manager della Creative Artiste Agency, la multinazionale che segue centinaia di star, inclusi Cristiano Ronaldo e Mourinho. Doyen è molto attiva in Spagna, è vicina all'Atletico Madrid, ha sponsorizzato i biancorossi oltre a Getafe, Siviglia e Sporting Gjion; è entrata con le sue percentuali nei recentissimi e milionari trasferimenti dei calciatori Brahimi, Mangala e Rojo (tutti nella scuderia di Nelio Lucas e compagni) a Porto, City e United; ha appena concluso un accordo commerciale col Twente in Olanda e da sempre è legata a Falcao, rappresentato da Mendes. Gli intrecci sono tanti. Al di là dei nomi, la dinamica è chiara: questi fondi investono soldi per aiutare i club ad acquistare calciatori in un momento di crisi economica, diventando comproprietari dei cartellini con la speranza di guadagnare con le plusvalenze al momento del successivo trasferimento, facendo fruttare gli investimenti di soci o clienti. "Non si parla più solo di Tpo, ma di Tpi: Third party investment. Gli investitori puntano a un ritorno positivo creando una sorta di prodotto borsistico. Gli operatori stanno facendo lo sforzo di essere più creativi di fronte a una situazione mutata dalla crisi economico-finanziaria e dal Fair Play Finanziario", spiega il professor Lucio Colantuoni, avvocato e docente di diritto sportivo all'Università di Milano, direttore del centro studi milanese di diritto dello sport e arbitro al Tas. La nuova formula dei fondi è quella di finanziare l'acquisto di un calciatore prestando soldi al club interessato, senza acquistare direttamente il cartellino come succedeva all'inizio in Brasile e Argentina con Traffic, Sonda o singoli intermediari-agenti. Così il gruppo privato diventa socio del club rispetto a quella singola operazione. Il rovescio della medaglia è rappresentato da clausole che obbligano a vendere il calciatore entro un termine prefissato, pena la perdita del contributo economico. E' quello il guadagno atteso dal fondo: la differenza tra i due trasferimenti. E' chiaro che, di fronte ad accordi di questo tipo, è difficile non scorgere una situazione di tensione giuridica rispetto all'unica previsione contenuta nei regolamenti Fifa in materia di Tpo o Tpi: il divieto di "influenze di parti terze" sulle vicende tecniche e societarie di una squadra di calcio, contenuto nell'articolo 18 bis delle norme sullo Status e i trasferimenti dei calciatori che prevede sanzioni a carico dei club responsabili. "Se effettuate nel rispetto della normativa Fifa, queste operazioni sono possibili come conferma la costante giurisprudenza del Tas -aggiunge il professor Colantuoni- occorre predisporre contratti in modo attento anche per essere conformi alle prescrizioni del Fair Play Finanziario".  Non tutti sono favorevoli. "Il business dei giocatori in mano ai gruppi privati è il più grande problema del calcio attuale", dice l'avvocato Leo Grosso, ex vicepresidente Aic e componente del Board della Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori, che tornerà a discutere di questo tema nei suoi prossimi direttivi. "L'Uefa sta provando a contrastare questo fenomeno - aggiunge Grosso - ma non sarà facile perché molte componenti hanno paura che, di fronte a una disciplina più severa, i fondi privati ritirino i loro finanziamenti, sempre più indispensabili ai club meno ricchi in un momento di crisi". Proprio come succede nell'economia reale i nababbi del pianeta fanno shopping in Europa. Il calcio non fa eccezione.

Fonte: repubblica.it

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