Dzeko: "Ho visto la guerra, non posso aver paura di niente"
Un giorno qualcuno, non volendo fargli un complimento, pensò di chiamarlo «kloc», lampione, perché sembrava piantato in mezzo al campo senza troppa utilità. In effetti Edin Dzeko era alto e magro, ma aveva anche tanta luce dentro. Quella sufficiente perché crescendo riuscisse ad illuminare la strada che ha consentito al Wolfsburg di vincere la prima Bundesliga della sua storia e al Manchester City di tornare padrone della Premier dopo 44 anni. Adesso, però, la «cura Dzeko» è arrivata a Roma, dove lo scudetto manca da 14 anni. Se la missione riuscirà, tre quarti del Grande Slam europeo sarebbe in cassaforte. Insomma, domani a San Siro arriverà uno specialista in missioni difficili: l’Inter è avvisata.
A poco più di due mesi dal suo arrivo, si aspettava di vedere la Roma già in testa?
“Perché no? Sapevo di essere arrivato in una grande squadra, ma la stagione è ancora lunga. Ciò che conta davvero è di essere primi alla fine. Da questo punto di vista la sfida con l’Inter non è ancora decisiva, anche se la partita è importante. Chi vince prenderebbe fiducia e per questo a perdere non ci penso proprio».
Qual è la rivale più pericolosa per lo scudetto?
“Quest’anno non ci sono favorite. Ci siamo noi, l’Inter, il Napoli, la Fiorentina e anche la Juve. È sempre una grande squadra e si riprenderà”.
L’argentino però segna a raffica, mentre lei al momento è fermo a quota uno.
“Non sono contento, per me il gol è importante, ma non mi sento oppresso. La squadra conta di più. Penso che chiunque preferirebbe vedere la Roma vincere e Dzeko restare a un solo gol. Ma i gol arriveranno. E in ogni caso non mi fisso traguardi, non lo faccio mai. Ho sempre segnato e sono sicuro che segnerò anche qui, ma non voglio mettermi una pressione da solo”.
Domani chi toglierebbe ai nerazzurri?
“Va bene se ne tolgo un paio? Jovetic, perché è un grande giocatore, e Icardi. Stevan è un fenomeno, sono felice che stia bene e gli auguro il meglio, ma a partire dalla partita successiva”.
La Bosnia per lei significa anche guerra.
“A me come a tanti bambini hanno rubato l’infanzia. È stato il periodo più brutto della mia vita. A Sarajevo vivevamo in 15 in 37 metri quadrati. Ci svegliavamo a volte senza avere quasi nulla per fare colazione. Mio padre era al fronte e tutti i giorni, quando suonavano le sirene, avevo paura di morire. Andavamo nei rifugi senza sapere mai quanto tempo dovevamo restarci. Certe esperienze rendono più forti e fanno apprezzare la vita nei momenti giusti. Quando hai avuto paura per la tua vita e quella dei tuoi familiari, i problemi del calcio sono niente al confronto. Non ho segnato? Fa niente, segnerò alla prossima partita. Le cose importanti sono altre”.
Fonte: Gazzetta.it- Massimo Cecchini