Rassegna stampa

Lo stadio della Roma si farà, ma a quale prezzo?

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 19-03-2017 - Ore 11:39

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Lo stadio della Roma si farà, ma a quale prezzo?

INTERNAZIONALE - GERINA – “Lo stadio Olimpico di Roma è molto bello, ma dalle curve per vedere la porta dal lato opposto ci vuole un buon binocolo”. Da tifoso qual era Giulio Andreotti, che così scriveva sull’Europeo nel 1987, fu uno dei più strenui sostenitori del “nuovo stadio” della Roma. Un sogno antico quello di dare alla squadra giallorossa uno stadio tutto per sé. Il primo che tentò di realizzarlo fu Dino Viola, il senatore andreottiano, presidente della Roma ai tempi dello scudetto e di Nils Liedholm. Anche lui inizialmente voleva costruirlo in un’ansa del Tevere, verso sud, nella zona di Magliana vecchia, poi ritentò con un’altra area, alla Romanina, allora di proprietà di Italcable. “È un mio regalo alla città”, disse. Ma il Partito comunista italiano (Pci), che contava tra i suoi parlamentari indipendenti l’ambientalista Antonio Cederna, gli fece la guerra. E il sindaco democristiano Nicola Signorello non se la sentì di dare l’ok. La storia, trent’anni dopo, si ripete. Con protagonisti e risvolti inediti. Da una parte, l’italoamericano James Pallotta, che sei anni fa ha comprato la squadra giallorossa risollevandola dai debiti e ora vuole realizzare il suo business costruendo quello stadio tutto per la Roma che non è riuscito ai suoi predecessori. Dall’altra, il Movimento 5 stelle e Virginia Raggi, la sindaca che ha detto no alle Olimpiadi, stretta tra i tifosi della Roma e i militanti in piazza contro le colate di cemento, al suo primo braccio di ferro con i costruttori. A sorpresa, almeno per adesso, è finita con un sì. Anche il pronostico pronunciato da Beppe Grillo, che invitava a distinguere tra “palazzinari” e “costruttori”, si è rivelato inesatto. “Sì allo stadio ma da un’altra parte perché lì c’è un rischio idrogeologico”, aveva detto il garante dei cinquestelle sceso apposta a Roma per sostenere la sindaca.

“Lì” vuol dire lungo un’ansa del Tevere, a Tor di Valle, dove, al posto del vecchio ippodromo, costruito per le Olimpiadi del 1960 e chiuso dal 2013, il presidente giallorosso James Pallotta ha deciso di costruire il nuovo stadio della Roma. Su un’area che il piano regolatore destina a “verde privato attrezzato” e che, quanto al rischio idrogeologico, è classificata in gran parte come R3, cioè a rischio – ripete chi difende il progetto – non più dell’attuale stadio Olimpico, e nella parte più vicina al fiume R4, cioè a rischio più elevato. Quell’area, però, non è di Pallotta: in larga parte appartiene a un costruttore romano, Luca Parnasi (fortemente indebitato con Unicredit, un po’ come lo era la Roma di Franco Sensi), che a sua volta l’ha comprata dai vecchi proprietari dell’ippodromo. Per questo il progetto presentato in Campidoglio nel 2014 è a doppia firma. Da una parte, lo stadio della Roma con ristoranti e spazi per il commercio, dall’altra tre grattacieli, le torri, destinate a diventare un centro direzionale che Parnasi ha fatto progettare da Daniel Libeskind, architetto di fama internazionale. In totale quasi un milione di metri cubi. Ovvero una superficie di 354mila metri quadrati contro i 112mila previsti nel piano regolatore. Solo 49mila per lo stadio, che rappresenta appena il 14 per cento del progetto; il resto, 305mila metri quadrati, tutti per il cosiddetto business park, destinato a imprese e privati che vorranno trasferirsi a Tor di Valle.

Una vera e propria nuova “centralità”, che dovrebbe sorgere attorno allo stadio. Così la definisce la delibera del 22 dicembre 2014 con cui l’amministrazione guidata da Ignazio Marino, sulla scia della legge per i nuovi stadi approvata dal governo di Enrico Letta, diede il primo via libera ai progetti di Pallotta e Parnasi. La delibera arrivò dopo una trattativa durata mesi, tutta incentrata sull’equilibrio tra quanto avrebbe potuto costruire il privato e quante e quali opere pubbliche avrebbe dovuto realizzare in cambio. Quel progetto a Ignazio Marino piaceva molto. Alla futura sindaca Virginia Raggi no. E infatti quando era consigliera comunale, dai banchi dell’opposizione, votò contro. La delibera passò anche senza il voto dei cinquestelle. E il nuovo stadio della Roma insieme alle torri di Libeskind fu dichiarato “di pubblico interesse”. Da allora, sono trascorsi due anni. Marino non ha fatto in tempo a dare il via libera definitivo e nel frattempo i romani hanno affidato la città al movimento cinquestelle. Dalle parti della As Roma temevano il peggio. Ma l’iter per l’approvazione del nuovo stadio, tra una dichiarazione sibillina e l’altra, anche dopo l’elezione di Virginia Raggi, non si è interrotto. Anzi, l’assessore Paolo Berdini, pubblicamente schierato contro, nei mesi in cui ha lavorato accanto alla sindaca, ha fatto in modo che la giunta rispettasse i tempi e il 30 agosto 2016 ha trasmesso alla Regione Lazio il progetto definitivo. Rispetto al quale però gli stessi uffici di Roma capitale il primo febbraio hanno dato parere non favorevole.

UNA GRANDE FAVORE AI COSTRUTTORI – Arriviamo così a venerdì 24 febbraio, quando, a pochi giorni dalla chiusura della conferenza dei servizi, prevista per il 3 marzo, e dopo mesi di segnali alternati – si fa, non si fa – Virginia Raggi ha deciso. Lo stadio si farà e anche il resto. Senza consultare i romani, al contrario di quanto aveva fatto capire in campagna elettorale. Sull’area già prevista e non altrove, al contrario di quanto aveva detto Grillo. Ma con la metà delle cubature e una bella sforbiciata tutta a carico del business park, che sarà ridotto del 60 per cento. Insomma, niente torri, via i grattacieli disegnati da Libeskind, meno cemento. “Abbiamo evitato il progetto monstre ereditato dalla precedente amministrazione”, festeggia la sindaca su Facebook. Ma insieme alle cubature (resta da capire quelle restanti come saranno riprogettate) saranno ridotte nettamente anche le opere pubbliche che il privato avrebbe dovuto completare, a spese sue, prima dell’inaugurazione dello stadio. Per le cifre esatte bisognerà aspettare che l’accordo stretto a voce con James Pallotta e Luca Parnasi si traduca in atti ufficiali. Ma si parlerebbe di una riduzione di circa 10 milioni degli oneri di costruzione e di un taglio di circa 140 milioni alle opere a carico del privato. “Un grande favore ai costruttori”, secondo l’ex sindaco Ignazio Marino. L’opera più consistente a carico del privato prevista nel progetto concordato con la passata amministrazione era il ponte sul Tevere con lo svincolo per collegare lo stadio all’autostrada Roma-Fiumicino. Costo stimato nella vecchia delibera: 93,7 milioni. Secondo gli accordi presi il 24 febbraio, ponte e svincolo potranno essere realizzati anche in un secondo momento, a spese pubbliche. Con i fondi già stanziati dal Cipe per il ponte dei Congressi, a cui però a quel punto si dovrebbe rinunciare. Proprio il contrario di quello che suggerisce di fare l’Istituto nazionale di urbanistica: rinunciare al ponte per lo stadio e concentrare tutte le risorse su quello dei Congressi, che sarebbe più utile alla città e comunque potrebbe essere sfruttato anche dai tifosi. Intanto, allo stadio, in macchina, ci si arriverà dalla via del Mare e dalla via Ostiense, due strade molto strette e trafficate, che con 38,6 milioni di euro (cifra preventivata nella delibera Marino) saranno messe in sicurezza e unificate a spese del privato, come previsto nel progetto originario. Così come a spese del privato sarà la messa in sicurezza del fosso di Vallerano, per ridurre il rischio idrogeologico.

 

Fonte: INTERNAZIONALE - GERINA

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