Il giardiniere nel pallone

Babbo Natale è della Lazio

condividi su facebook condividi su twitter 24-12-2016

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Babbo Natale è della Lazio

Caro Babbo Natale,

perdonami l'intrusione fuori età, ma una domanda mi sorge spontanea: così, detto fra noi, quand'è che hai intenzione di rivelarti al mondo intero?

Sai, Santa Claus, per anni avrei messo la mano, ma che dico mano, il braccio intero sul fuoco sul fatto che esistessi davvero.

Anche se, mi duole ammetterlo, non è che abbia fatto chissà cosa, nel tempo, per fugare i miei piccoli dubbi riguardo la tua identità.

Non sono stato un bambino normale, lo ammetto.

Nel novantasei, ad esempio, mentre in tutto il mondo spopolava il Tamagotchi, io ti chiesi semplicemente il passaggio del turno in Coppa Uefa.

Era la Roma di Totti (neanche a dirlo!), Moriero, Balbo e Fonseca.

Era la Roma del principe Giannini.

Ora, non voglio accusarti di una mancata qualificazione peraltro già compromessa col due a zero dell'andata, ma subire il gol dello Slavia Praga a pochi minuti dalla fine del secondo tempo supplementare (sul tre a zero per noi) da parte di Vavra, be', è una carognata più da Befana.

Sono ritornato a credere in te, caro Babbo, nel duemilauno.

In quegli anni tutto il mondo piangeva la morte di Mufasa, il re leone, e ti chiesi in dono il VHS della Disney.

Non lo ricevetti mai, ma in compenso la Roma acquistò un certo Gabriel Omar Batistuta (il re leone, appunto) che con venti ruggiti mi donò il tricolore.

Ah, che emozioni!

Riuscii pure a metabolizzare la delusione di Garcia Aranda, l'arbitro che in Liverpool-Roma (ottavo di finale di Coppa Uefa) concesse un rigore alla Roma per poi, inspiegabilmente, tornare sui propri passi e decretare la nostra eliminazione.

Caro Babbo Natale, nuovi dubbi sulla tua esistenza mi sopraffecero quando John Carew venne a Trigoria e Fernando Morientes al Monaco.

Ti perdonai a metà quando il gigante norvegese, dopo un gol sotto la Curva, innalzò un piccolo raccattapalle alimentando il mio lato sensibile che ancora ringrazia.

Non mi spiego invece la scelta di prendere Mido anziché Ibrahimovic, ma questa è un'altra storia.

Nel duemilacinque tornai a credere forte in te per aver portato a Roma un certo Luciano Spalletti: la pelata più affascinante del West.

Il creatore di tutte le tattiche, visibili e invisibili. Come il falso nueve del suo quattro-due-tre-uno che è divenuto una filosofia di vita.

Cominciai a dare ascolto a chi gridava che fossi un millantatore quando a Manchester ci rifilarono sette e dico sette gol che ancora adesso mi sogno di notte.

Nel duemilatredici decisi di abbandonare anche l'ultimo barlume di speranza perché in un derby, la Roma perse la finale di Coppa Italia in favore dell'altra squadra della città.

Roba che nemmeno Dario Argento avrebbe inscenato.

Presi parte ad una serie di incontri con i romanisti anonimi per tornare a vivere.

Lì, conobbi Cesare, ancora distrutto per una finale di Coppa Campioni persa in casa contro il Liverpool (ah, gli inglesi!) nell'ottantaquattro e capii di non essere solo.

Oramai mi ero convinto, tu, Santa Claus, non potevi esistere.

Me pare chiaro che nun esiste disse Cesare.

Mesembryanthemum (roba da giardinieri, non farci caso) pure a me risposi.

Poi come tutte le grandi cose sei tornato, fiero e silenzioso. Mi hai donato l'alba di un nuovo derby facendomi alzare dalla sedia per un gol di tale Yanga-Mbiwa che credevo, fino a quel momento, fosse un codice fiscale (poi è arrivato Szczesny).

Così son tornato a credere in te e, caro Babbo, solo Dio sa quanto avrei voluto abbracciarti.

Ma tu ti ostinavi ancora a celarti dietro la magia del Natale.

Non ho smesso un attimo di cercarti specie dopo il ritorno di Spalletti sulla panchina della Roma e dopo la serie di vittorie che ci hanno portato a meno quattro dalla Juventus.

Ti ho concesso la distrazione di Torino, la scorsa settimana (ci sono i preparativi del Natale, capisco), ma ciò che è accaduto in seguito non posso davvero accettarlo.

Mi riferisco all'incontro con mio cugino, Alessandro. Ora Sandro si fa chiamare.

Sì, proprio lui.

Quello cresciuto con me a pane e Totti. Quello a cui feci giurare che c'è e ci sarà sempre e solo un Capitano.

Girava con l'iPhone nel centro commerciale quando il telefono cominciò a suonare un'insolita canzone.

Vola un aquila nel cielo gli ho sentito canticchiare.

Magari è diventato un animalista ho pensato

“Be' – gli dico – cosa ti porta Babbo Natale quest'anno?”

Babbo Natale non esiste – ha risposto lui – ma ho chiesto a mio padre la maglia di Lulic.”

Ed è stato lì che ho capito tutto.

Tu, caro Babbo e caro Claus, be', non solo esisti davvero, ma sei popo da Lazio.

Che è anche peggio.

 

Auguri di buone feste a tutti, laziali compresi!

Fonte: a cura di Diego Fois

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