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RicorGOL: il rumore che fa la pioggia

condividi su facebook condividi su twitter 10-08-2022

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RicorGOL: il rumore che fa la pioggia

F. quella sera è in ritardo. Dannatamente in ritardo, lo dice l’orologio alla parete e il notiziario delle 18:00 in tv. Ha appena staccato dal solito turno massacrante al bar.

Ora di inizio? La mattina quando ancora deve sorgere il sole.Ora di stacco? Quando finisce. Maurizio il proprietario del bar non ha pietà, la sfrutta e se ne frega.

È in ritardo quella sera. Deve ancora prendere il secondo autobus che la porterà vicino casa, al piccolo locale del paese. Stasera si esibisce, stasera può cantare i pezzi del suo grande Vasco che tanto la appassiona, da qualche mese è uscito il suo nuovo album, “Nessun Pericolo… per te”. Prima, però, deve andare a casa della madre, che sta accudendo il piccolo Raffaele.

Raffaele è il suo tutto.

È nervosa F., lo sente già da quando sale sul secondo bus che la porta vicino casa di sua madre per prendere suo figlio.

Piove.

Le è sempre piaciuto il rumore che fa la pioggia, ma i brividi che sente lungo la schiena non sono per l’acqua che piano piano si dilata sui suoi vestiti e le scivola addosso facendole sentire freddo. Quelli sono i brividi di chi ha lottato tanto, e si è impegnato tanto per vedere realizzarsi una piccolissima parte di un sogno che le fa compagnia sin da bambina. Sente i brividi perché finalmente ha la sua occasione, dopo ore e ore di doppio lavoro, mance accumulate e centellinate per far fare una vita dignitosa al suo piccolo Raffaele e al tempo stesso non abbandonare i suoi sogni e alimentare la sua passione: il canto.  

Mance, accumulate tra il lavoro al bar di Maurizio e il piccolo locale del paese, sempre la cameriera, sempre a sudare per il duro lavoro. Ma stasera non fa nulla, sente i brividi, ma non la fatica, sente la rabbia, quella rabbia sana che ce l’ha solo chi ha qualcosa da fare a ogni costo, perchè stasera è F. e nessun altro.

Lei e la sua grande occasione. Le prove fatte sotto la doccia, o sussurrate per far addormentare il piccolo Raffaele hanno dato i loro frutti. I pezzi solfeggiati in bus, mentre andava al lavoro, muovendo solo un dito per tenere il tempo tra la calca delle ore di punta, sia con il caldo asfissiante che con il freddo polare. Le prove nel garage della casa dei suoi, la nonna che le portava da bere e da mangiare quando si faceva troppo tardi, che sapeva sempre cosa dire, parole giuste pronunciate da chi ha affrontato una vita faticosa ma autentica.

F. stasera sulle spalle si sta portando dietro tutto questo.

L’autobus ferma. Scende di fretta, e inizia a correre, Raffaele la sta aspettando. I brividi nervosi si stanno via via trasformando, la voglia di farcela dà spazio a un entusiasmo inaspettato anche per lei, che decide di passare a casa prima di andare a prendere Raffaele, vuole fare una sorpresa al suo compagno.

È a casa che li aspetta. Cambio di programma, è deciso, si va prima a casa.

Mentre corre per la stradina del paese che la conduce al portone di casa sua, facendo lo slalom tra le pozze di acqua accumulatesi per le vie in pietrame, infila una mano nella borsa di tela che frenetica cerca le chiavi di casa, non c’è un minuto da perdere.

- Amore!, Amoreeee! Eccomi, spero tu sia pronto perché andiamo a prendere Raffy da mamma prima di andare al locale.

Grida F. in un misto di gioia e ansia. Non sente rispondere e intanto schiude la porta.

Il suo compagno non è solo.

F. non è sciocca, la vita che fa ogni maledetto giorno le ha insegnato a non esserlo, ma spera di sbagliarsi ugualmente.
Avanza piano dentro casa, non vuole fare rumore. La paura inizia a insidiarsi, lentamente le sue scarpe e i suoi pantaloni lasciano una scia di bagnato tra le piastrelle del pavimento di casa, che man a mano, si avvicinano verso i rumori.

F. non dice nulla.

La pioggia e le lacrime si mescolano sul suo volto. Stringe forte i denti, sente come se si stessero spezzando dentro la bocca, le gocce di pioggia lungo il suo corpo scendono come se non la toccassero neanche, non le sente più. I brividi non si sentono più. L’ansia non si sente più. La paura non si sente più. La gioia non si sente più. Non si sente più nulla, neanche il rumore che fa la pioggia.

F. non sente più nulla.

26 novembre 2000. Sono le 20:30. All’Olimpico va di scena Roma-Fiorentina. Lo stadio è pieno.

La Roma di Capello deve continuare a vincere per mantenere vivo il sogno tricolore e il tecnico friulano si affida all’undici composto da: Lupatelli, Zebina, Aldair, Zago, Cafu, Tommasi, Zanetti (74' Guigou), Candela, Totti (88' Assuncao), Delvecchio (68' Montella), Batistuta.  

La Fiorentina guidata da Terim si schiera con: Toldo, Torricelli (85' Chiesa Sv), Cois, Repka, Pierini, Rossi M. (81' Rossitto), Amoroso C. (55' Bressan), Vanoli, Di Livio, Rui Costa, Nuno Gomes.

In campo quella sera, per la prima volta in carriera, un uomo di nome Gabriel Omar Batistuta, gioca contro la squadra che tanto ha amato. La squadra che lo ha preso che era un ragazzino e lo ha fatto diventare un uomo, un campione. Batistuta e la Fiorentina si sono lasciati qualche mese prima dopo 9 anni.

Si sono lasciati male, specialmente per Gabriel.

La stagione precedente, infatti, dopo l’ennesima promessa disattesa di creare una Fiorentina capace di vincere lo scudetto, e dopo anche aver battuto il record di reti segnate in maglia viola fino a quel punto detenuto dallo svedese Kurt Hamrin, Batistuta ha lasciato la Fiorentina, consegnando ai suoi tifosi l’ultima immagine di sé, che corre dentro la porta degli avversari lasciandosi cadere a terra tra la foschia causata dai fumogeni e le lacrime che a fatica cerca di nascondere, per ciò che sarebbe stato e mai sarà.

F. quella sera, è in ritardo. Lei e Raffaele stanno raggiungendo gli amici in un Pub in cui si fa musica dal vivo a Roma.

Deve esibirsi.

Il paese è lontano ormai, anni e chilometri. La passione però no, quella non si è mai allontanata. Raffaele è più grande e adesso in questa nuova grande città ha trovato la sua dimensione così come la mamma. Gli amici di F. li amano e non fanno sentire loro la mancanza di casa.

F. è matura adesso, la vita e le sue difficoltà continuano a esserci, ma lei come dice Vasco in una sua canzone “è già stata punita”, e sa rialzarsi adesso, sempre. Non lascerà più a nessuno la possibilità di buttarla giù di nuovo, di negarle la sua occasione.

La rabbia di F. e quella di Gabriel quella sera, anche se inconsapevolmente stavano per incrociarsi.

La partita sta volgendo al termine. La Fiorentina è più intraprendente e in più di un’occasione avrebbe meritato di passare in vantaggio.

F. e Raffaele arrivano ed entrano nel pub dove gli amici li stanno aspettando:
- Tesoro, adesso rimani con gli altri, mamma deve andarsi a preparare, mi raccomando fai il bravo.
Disse F. al figlio.

-  Vai, vai non stare a preoccuparti vedrai staremo bene e Raffaele sarà bravissimo – Le rispondono gli amici con tono amorevole, sorridendo.

Sollevata si dirige nei camerini e il fumo del pub la avvolge. Nascondendola a tutto e a tutti, persino a sé stessa.

La testa chi sa perché, mentre si sta truccando per salire sul palco, le va a quel dannato momento. Non fa più male, è vero, ma sta lì, è come se un qualcosa, un qualche gesto debba definitivamente scacciare via i demoni del passato. F. se lo merita. La vita, così dura e difficile stasera glielo deve. Ma non c’è più molto tempo, deve andare. E’ ora.

83esimo minuto. La palla rocambola ai limiti dell’area di rigore viola. Gabriel è lì, la testa, chi sa perché, mentre sta caricando il destro per colpire il pallone va a pescare i ricordi che non dovrebbe. Non fanno più male, è vero, ma sono lì. Devono essere sorpassati un’ultima volta, devono essere trascinati via insieme a quel dannato pallone che non sembra voler entrare quella sera, la vita dura e maledettamente difficile stavolta deve dargli questa occasione. Gabriel se lo merita.

Inizia la musica. F. quella sera canta, la sua voce graffiata e potente invade il locale e le persone ad assisterla si fermano per qualche secondo. F. quella sera, con quella musica non si sta solo esibendo, si sta riscattando, da chi l’ha tradita, da chi non ha saputo mantenere le promesse fatte. La rabbia che le esce da dentro attraverso la voce non sono cariche di rancore, sono cariche di voglia di dire “ce l’ho fatta”, il dolore per quanto forte non si sente più, il passato, i sacrifici, la vita dura e difficile non si sentono più.

F. come Gabriel quella sera, quella rabbia, se la meritano. Il destino si sta sdebitando con loro.

Il destro di Batigol esplode, il pallone con un tonfo sordo sgretola l’aria intorno, quella rabbia che solo lui sa mettere in quel destro quella sera risucchia tutto dietro di se. La palla gonfia la rete.

La musica finisce, F. e Gabriel piangono.

Non c’è solo gioia in quel pianto, non potrebbe esserci solo gioia. C’è una vita intera che finisce e una nuova vuole iniziare. La rabbia che hanno maturato da tanto tempo è servita a qualcosa. Quel pianto non è stato un errore. Non è stato tutto sbagliato.

F., Raffaele e gli amici escono dal pub. Una goccia dopo l’altra inizia a bagnare il paesaggio circostante fatto di automobili luci e persone. Corrono tutti al riparo tranne che F. e Raffaele.

Lei non dice una parola, l’emozione è ancora troppo forte, le lacrime si mescolano alla pioggia. Raffaele la guarda e la abbraccia. E le sussurra.

- Mamma, senti che bel rumore –

di Vasco Maria Ciocci

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