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RicorGol: Come un pugno, parte II - 1981

condividi su facebook condividi su twitter 03-11-2022

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RicorGol: Come un pugno, parte II - 1981

Marco è seduto al suo angolino in attesa dell’inizio della sesta ripresa. L’incontro sta andando male e il vecchio pugile affonda nei ricordi come fosse in tranche mentre tutto attorno sembra essersi fermato.

1981

Rossana quella mattina stava finendo di riordinare la casa che i due “maschiacci”, come adora chiamarli lei, puntualmente mettono a soqquadro ogni pomeriggio. Passa veloce davanti al tavolino del corridoio d’ingresso dove sono esposte in bella vista, con un’importante cornice argentata, alcune foto con loro protagonisti. In una lei è in vacanza al mare con Filippo e Marco, mentre nelle altre ci sono Filippo dopo che ha appena vinto un incontro, sempre con Marco in braccio a sollevarlo come fosse lui il vero trofeo, e un’altra ancora di Marco con indosso il grembiule blu scuro e lo zainetto sulle spalle in un momento che ricorda il primo giorno di scuola del loro bambino.

Rossana si muove veloce per casa, è una donna energica, la sua sagoma interrompe la luce riflessa sulle cornici dei quadri appesi e  sulle foto delle cornici del tavolino all’ingresso, mentre la radio manda per l’ennesima volta il tormentone del momento che sta scalando tutte le classifiche – Maledetta Primavera – di Loretta Goggi.

La musica la aiuta ad andare ancora più veloce nelle faccende, a metterci ancora più energia. Sguscia infatti a tutta la velocità tra una camera e l’altra e bisbiglia sottovoce, ripetendole come un mantra, le cose che di lì a poco avrebbe comprato al mercato per fare la spesa. Il ripeterle come una preghiera era il trucchetto che usava per ricordarsi delle cose, così come gli orari degli allenamenti in palestra del figlio e del marito. Anche oggi come quasi tutti i giorni, ormai, Filippo si sarebbe recato alla Palestra Popolare sita nel quartiere di San Lorenzo e come ogni giorno avrebbe portato il suo Marco con sé.

Filippo iniziava a notare nel ragazzino una certa predisposizione, un certo acerbo talento che lui non aveva mai avuto e che invece il ragazzino, nonostante avesse da poco compiuto 10 anni dimostrava già di avere.

- Farmacia, pane, insalata, carne, marmellata, quaderni - e ancora – Farmacia, pane, insalata, carne, marmellata, quaderni – continua a ripetersi quando a un tratto squilla il telefono. L’apparecchio era poggiato su un altro piccolo mobiletto di fianco il tavolino all’ingresso dove, appena spolverate, stavano le foto di famiglia.

- Pronto? Casa Martelli ? –

- Si, buongiorno, chi parla? – chiede Rossana, anche se aveva già sentito quella voce altre volte e sapeva già cosa stavano per dirle –

- Signora buongiorno, scusi il disturbo, sono il preside Petrelli. Mi dispiace ma ci risiamo, sarebbe così cortese da venire qui quanto prima? –

- Signor preside, certo, certo, corro immediatamente, il tempo di arrivare – Rossana di colpo si fa più agitata di quanto già non fosse.

Il preside della scuola elementare di Marco l’ha chiamata di nuovo per il solito motivo: Marco si è azzuffato con un altro bambino. La donna scende in strada e inizia a percorrere il tragitto che la conduce alla scuola elementare del figlio. È nervosa, tanto che dopo pochi metri già si sente accaldata e a ogni passo sbatte i piedi in terra sempre con più forza quasi a volersi scaricare il più possibile per cercare di mantenere il controllo una volta arrivata a destinazione.

All'ingresso principale della scuola, dietro il grande portone vetrato, su una scrivania rimaneggiata, siede in maniera scomposta e svogliata una ragazza sui venti anni, capelli ricci con un giubbetto di jeans oversize e alle orecchie delle cuffie. Il walkman gira a tutto volume la musicassetta registrata con i pezzi più in voga di quegli anni. –
Il portone vetrato si apre mosso da una mano visibilmente agitata. Rossana è arrivata

– Signorina mi scusi sono attesa dal preside, sono la Signora Martelli. Posso andare? –
La ragazza pigra e annoiata fa un cenno con la testa e nulla più, e torna a leggere l’ultimo numero di Ragazza IN con stampato in copertina un primo piano di John Travolta. Rossana, un po’ indispettita per la sfrontata movenza della ragazza, fa un cenno di saluto con la mano e si dirige dritta e con lo sguardo fermo verso l’ufficio della presidenza.

- Avanti – Tuona il preside avendo sentito bussare con energia la porta dell’ufficio
- Signora Martelli buongiorno, la ringrazio per essere venuta subito – mentre si svolgono i convenevoli tra lei e il preside incrocia subito lo sguardo del figlio spalancando gli occhi e stringendo il labbro inferiore fra i denti.
- Marco, accomodati un attimo qui fuori, io e tua madre dobbiamo parlare di alcune cose –

Marco sa bene cosa devono dirsi. È la quarta volta in due mesi che fa a pugni con altri ragazzi della scuola. Questa volta però l’ha fatta grossa: ne ha messi fuori combattimento tre in una volta sola.

Mentre la mamma e il preside discutono, lui aspetta seduto sulla seggiola appena fuori la porta e, intanto, guarda svogliato i lavoretti svolti negli anni precedenti da altri alunni appesi alle pareti dei corridoi della scuola.

– La ringrazio signor preside per la sua bontà d’animo, la ringrazio per non aver espulso Marco neanche stavolta – esclama la madre dirigendosi verso l’uscita dell’ufficio del preside.

La donna, senza dire una parola, prende nervosamente la mano del figlio e lo inizia a strattonare fuori dal corridoio, fin fuori il cortile della scuola. Marco si aspetta la solita strigliata ma questa volta, invece, continuano a filare dritti. Arrivati a casa in metà del tempo normale di percorrenza la madre con voce faticosamente mantenuta calma – Stavolta non ti dico nulla, stavolta lascio che sia tuo padre a pensarci, ma sappi una cosa Marco, non te la perdono più un’altra volta –

- Ma mamma hanno iniziato loro – prova a discolparsi Marco, mostrando tutto il suo lato da bambino di 10 anni – SILENZIO MARCO! SILENZIO! Vai in camera tua e mettiti a fare i compiti fino a che non rientra tuo padre. Guai se ti sento giocare o se ti becco a leggere i fumetti, ti tolgo tutto e lo butto di sotto in mezzo alla strada, faccio la pazza oggi! – lo interrompe la madre che aveva provato a mantenere il controllo fino a poco prima con grande sforzo. Marco capisce la gravità, nonostante fosse già abbastanza abituato a combattere. Senza dire nulla, abbassa lo sguardo già gonfio di lacrime e si infila lento in camera sua.

- Amore, eccomi sono a casa! Mamma mia oggi è stata proprio una giornata faticosa, tutte demolizioni scomode e pesanti, vabbè va’, ma mo’ sto a casa co voi e me passa pure la stanchezza – Filippo aveva un’energia vitale così brillante che sembrava non essere mai stanco agli occhi di chi lo circondava – Marco ‘do sta? È pronto? Dai che oggi pure l’allenamento mica scherza – Intanto che si sfila i panni da lavoro e si dirige verso la camera matrimoniale. – Filippo, fermo un attimo, è successo di nuovo –

- Ma che? – si gira il marito con la fronte aggrottata ancora mezzo sporco di polvere

- E che secondo te? Ne ha stesi 3 stavolta! 3 in una mattinata sola! –

- Accipicchia tre. E com’erano questi? Grossi o scrocchiazeppi? –

- FILIPPO! Fai il serio. Guarda che il preside l’ha graziato, ma te rendi conto che ha steso tre ragazzini per la misera??? Ora tu vai di là e ci parli, e non solo, anzi, la palestra oggi ve la scordate, e pure te cambiate piano che stai a impolverà tutto n’altra volta accidenti a voi. Me farete morì giovane!

- Va bene va bene, calma. Ho capito, al ragazzo serve un’inquadrata. Me lo posso porta’ a fa’ due passi? Da quant’è che sta chiuso lì dentro? – chiede Filippo cercando di far capire alla moglie che ha capito la situazione e che deve fare il papà.

- Sta lì dentro da quando siamo tornati da scuola, l’ho sentito piangere, sicuramente è dispiaciuto, ma non fa niente, stavolta ha superato i limiti – stava per riaccendersi di fuoco Rossana – Ok! Ok, calma dai non ricominciare. Mo’ ci penso io dai, tu finisci di preparare di là, io e lui ci facciamo una camminata e poi torniamo in tempo per cena. Su amore vedrai che stavolta ha capito – Filippo allunga una mano sul volto della moglie con fare rassicurante. Rossana avverte che le si stanno gonfiando gli occhi di lacrime per il nervoso dovuto alla faccenda e poi anche perchè è una madre, e come tale finge di non essere preoccupata quando in realtà dentro si sta divorando anche l’anima.

Filippo raggiunge la stanza di Marco, schiude piano la porta e poggia una spalla sullo stipite. Il figlio si volta e guarda il padre. I suoi occhi chiari si sentono colpevoli.  L’uomo non dice nulla, accenna soltanto un sorriso alzando un angolo delle labbra e con un cenno col capo indica al figlio di seguirlo.

I due velocemente scendono le due rampe del vano scala del palazzo dove abitano e si trovano su strada in una manciata di minuti. Filippo inizia a passeggiare e Marco sta al passo. Non si dicono una parola.

- Insomma… So che oggi ti sei dato da fare. –

- Papà hanno cominciato loro, mi pigliano in giro, e poi dicono che se mi riempiono di botte per loro è un gran risultato perché tu sei pugile e io pure faccio pugilato. Mi mettono in mezzo che devo fa? Stamme zitto e famme mena’? –

Filippo si ferma, alza un sopracciglio e fa un profondo respiro. Marco lo percepisce, il padre è calmo non è arrabbiato con lui. Loro due hanno sempre avuto una connessione invisibile, anche agli occhi attenti della mamma Rossana. Nessuno forse neanche loro sono ancora mai riusciti mai a comprendere fino in fondo il legame che li lega.

- Marcoli’… Io capisco tutto. Ma che vuoi fare? Vuoi continuare a fare a cazzotti fino all’università? Ascolta, non tutte le battaglie si combattono con i pugni. Anzi, a dire il vero, nessuna battaglia andrebbe combattuta in quel modo. I pugni non li devi usare per far piacere agli imbecilli. Cosa credi che abbiano imparato quei ragazzini oggi? Che sei più forte di loro? Questo lo sapevano già, sennò venivano da soli non in 3 a fare a botte con te. Te lo dice papà, niente, lo hanno fatto per il gusto di farlo. Tu che vuoi fare? Per il gusto di qualche cretino ti metti nei guai? La forza di un combattente non si misura dalla potenza dei suoi colpi, ma dalla capacità di risolvere le battaglie senza fare del male a nessuno. Il pugilato è un’arte. Non farla mai diventare uno scempio, una zozzeria. –

Marco continua a camminare ascoltando le parole del papà, senza dire una parola.

Poi Filippo, consapevole che il figlio ha recepito il messaggio continua dicendo – Senti ma sti tre in quanto tempo l’hai messi al tappeto? –

Marco scatta con un balzo davanti al padre euforico – Papà, cavolo, me dovevi vede’ venti secondi per uno al massimo, pure che me davano le botte manco un centimetro ho mollato l’ho stesi uno dopo l’altro – Filippo scoppia in una fragorosa risata insieme al figlio.

- Vabbè, vabbè senti adesso. Promettimi una cosa –

- Ok papà dimmi. –

- Promettimi che non darai più questo dispiacere alla mamma e a me. Promettimi che la prossima volta gli imbecilli li combatterai con l’indifferenza. Che fidati figlio mio. L’indifferenza è l’arma più potente di tutte per combattere la stupidità. Se ti provocano, tu tira dritto, non li guarda nemmeno. Non gliela dare questa soddisfazione. Promesso? –

- Si papà te lo giuro, d’ora in poi i pugni solo sul ring –

Filippo con un sorriso che gli taglia il volto da orecchio a orecchio – Vabbè mo’ andiamo a casa però che sennò ce la fa vede mamma l’indifferenza. –
- Se a papà se non se sbrigamo mamma piglia proprio lo scopettone! –

I due ridendo di gusto si mettono a correre fino al portone facendo la gara a chi sarebbe arrivato prima. Filippo correndo con davanti il figlio è pervaso da un senso di serenità, e al tempo stesso di aspettativa, sa cosa e soprattutto quanto potenziale c’è in Marco.

Giorni nostri

I guantoni neri vibrano leggermente. Gli anni persi oggi pesano come macigni su quei guantoni. Sembra passata una vita da quando è seduto all’angolino, invece manca ancora un’eternità alla ripresa. Brutto segno. I dolori ogni secondo peggiorano.

A Marco ma che stai a fa’? Guarda che se continui così questo ti sfonda! Tira su sta guardia copri sto fianco fottuto, non te fa picchia sempre su st’occhio è gonfio come un melone tra un po’ manco ce vedi più – Lo incalza Oreste, il vecchio gestore della palestra popolare che ha deciso, nonostante le sue perplessità, a fare da allenatore a Marco per questo match.

Marco ascolta ma e guarda fisso avanti, non riesce a smettere di respirare in modo affannato. Quarantadue anni per un pugile iniziano a essere tanti, specialmente se chi hai di fronte ne ha appena venticinque ed è la futura stella della boxe italiana. Intanto che Oreste gli asciuga il volto e cerca di farlo rimanere concentrato, Marco punta l’orecchio a quella voce che si sta interessando della partita. Non se lo spiega nemmeno lui perché è così distratto da questa partita.

Sente che il derby è ancora in perfetto equilibrio. Le squadre si stanno studiando, ci sono occasioni da entrambe le parti. La partita è ancora in piedi. Inizia a pensarlo anche lui del suo incontro, al diavolo i dolori. Non è ancora finita.

di Vasco Maria Ciocci

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