RicorGol: Come un pugno, parte V - 2012

Nelle puntate precedenti di "Come un pugno", racconto breve della rubrica "RicorGol": "Mentre Roma e Lazio sono impegnate nel derby allo stadio Olimpico, Marco è impegnato in una sfida all'ultimo gancio contro un prospetto della pugilato italiano. Nel frattempo riaffiorano i ricordi che ci fanno capire le grandi difficoltà che ha vissuto dopo l'arresto da parte delle forze dell'ordine".
2012
L’enorme portone di legno del carcere di Regina Coeli con un tonfo sordo e liberatorio si chiude alle spalle di Marco. Il borsone della palestra con dentro i suoi effetti personali appoggiato sulla spalla destra oggi è leggerissimo. Mai stato così leggero. Le auto attraversano la strada come ogni giorno a ogni ora. Il tempo al di fuori dalle mura del carcere non si è mai fermato. Marco lo sa, ma farci i conti non è la stessa cosa. Tredici fottutissimi anni. Sono il prezzo che ha dovuto pagare Marco per saldare il suo debito con la giustizia. Oltre agli eventi di quella sera sciagurata si sono sommati anche altri crimini sulla bilancia della legge. Crimini pregressi.
Oggi Marco è finalmente un uomo libero. Con la vita completamente disintegrata ma libera.
È solo.
Nessuno quella mattina è venuto a prenderlo. – Quello che semini, raccogli – così pensa sentendo questa frase dentro la testa come se fosse il padre a pronunciargliela. E’ vero, la rassegnazione ormai dopo tutto questo tempo gli è penetrata nella carne. Il debito con la giustizia forse sarà stato anche ripagato. Ma il conto con se stesso, con i suoi demoni è aperto e neanche un giorno passato tra quelle vecchie mura di spesso cemento armato è riuscito ad alleggerirlo.
Passeggia per le strade di una Roma che fa fatica a riconoscere, cammina quasi come se non conoscesse più quei luoghi. La città in sua assenza si è trasformata, diventando sempre più multietnica, sempre più estraniante. I passanti che gli camminano accanto altro non fanno che stare a testa bassa a guardare gli smartphone o se ne stanno con le cuffiette ad ascoltare chissà cosa.
L’unico luogo dove spera di acquistare un minimo di contatto con la realtà è casa sua. La casa dove è cresciuto. L’istinto gli chiede di dirigersi lì per rimanere intatto psicologicamente, per non lasciarsi ancora una volta all’oblio che in quegli anni ha accumulato sempre più terreno, sempre più vantaggio.
Anche Torre Angela, casa sua, onestamente non sembra più la stessa. Tanti palazzi sono spuntati lì dove prima c’erano distese di nulla. Il viaggio, che l’ha riportato a casa anziché mettergli nostalgia e voglia di rivedere i suoi luoghi natii. l’ha soltanto gettato in uno stato di ansia mista a nervosismo. Ora riesce a controllare tutto questo. Gli anni in gabbia l’hanno aiutato a maturare. Caro è stato il prezzo per acquisire tale capacità.
Suona il citofono. Un tasto semi funzionante con su scritto Martelli è un gancio che lo riporta a galla in quello sprofondare di insicurezze e ansie.
- Sì? – Marco riconosce subito quella voce, anche se distorta dal rumore metallico di sottofondo del citofono guasto- Mamma… -
C’è silenzio per un istante. Poi la donna con un filo di voce raccolto dopo un lungo sospiro – Non ci riesco Marco, non ci riesco. – Rossana, in quegli anni ha sempre provato ad andare a trovare il figlio. Ma ogni settimana, ogni mese, ogni anno era sempre meno la forza. Vederlo da dietro un vetro nel corso degli anni è stata come un aggravarsi di una malattia per la donna, fino al punto dal costringerla ad allontanarsi da ciò che le avvelenava l’anima, anche se questo significava non vedere Marco.
Sola.
Incapace di riuscire a reagire a quello che la vita le aveva imposto di affrontare.
Rossana in questi anni poco alla volta non ha saputo resistere, la condizione del figlio, la perdita di Filippo, tutto per lei è stato come un enorme terremoto. Anziché durare pochi secondi è durato ore, giorni, settimane, mesi e infine anni. Nessuno sopravvive emotivamente e psicologicamente a dei colpi del genere, nessuno è in grado di dire avrebbe potuto fare questo o avrebbe potuto fare quello. Ma noi che ne sappiamo di cosa si prova a vedersi portare via tutto dalla vita, specialmente quando questa sa essere così brutalmente accanita, così incessantemente spietata. Ha resistito, ha lottato come più e quanto a lungo ha potuto. Ora è troppo stanca, sfinita.
Marco con una mano sfiora il citofono, e senza dire una parola si allontana.
È scioccato. Tutto sta accadendo troppo in fretta. La vita dura trascorsa dentro il carcere gli ha insegnato a non gettare la spugna, anche di fronte all’insopportabile. La vita da pugile gli ha insegnato a cercare di rimanere in piedi a tutti i costi di non andare mai al tappeto. A questo punto solo un posto gli rimane come possibile ricovero: la palestra popolare di San Lorenzo.
Arriva in tarda serata, quando oramai sta per chiudere. Ha aspettato fino a quel momento prima di provare a entrare, non voleva correre il rischio di incontrare volti familiari.
- Oreste, buonasera –
Il vecchio uomo si volta mentre è intento a sistemare le ultime cose prima di chiudere e andare a casa. – Che mi venga un colpo! Marco Martelli, che ci fai qui? –
I due iniziano a raccontarsi quello che gli era accaduto nelle rispettive vite e ricordano con affetto Filippo, celebrando con la memoria alcuni dei bei momenti vissuti insieme dentro la palestra.
- Oreste, ascolta, mi vergogno quasi a dirtelo. Ma non so dove andare per la notte –
- Beh.. figliolo, non ho molto da offrirti se non questa vecchia palestra impolverata, di là nell’armadio di metallo, quello grande ci sono delle coperte e di fianco alle scope sotto il telo di plastica dovresti trovare una brandina. Puoi prendere quello se vuoi, e rimanere qui nel mio ufficio, non è molto ma è tutto quello che posso – Il vecchio amico mentre spiega a Marco come accomodarsi è investito da una vena di malinconia, di rammarico, per ciò che poteva essere e non è mai stato e ormai, mai sarà. – Grazie Oreste, lo apprezzo molto, sei un amico. –
Il giorno dopo Oreste arriva molto presto in palestra. – Buongiorno ragazzo, senti, devi ascoltarmi però, non ci ho dormito tutta la notte, che ne dici di rimetterti in forma? – Il vecchio Oreste, spinto dai ricordi del passato si è sentito ringiovanito nello spirito e nell’iniziativa, ha in mente un progetto per Marco – Oreste buongiorno, non saprei mi spiazzi così, sono ancora molto confuso, non saprei veramente e poi perché? A che scopo rimettermi in forma?
– Innanzitutto, io i pelandroni qui dentro non li ho mai sopportati, poi mi serve una mano qui, io ti darò quel che posso, nel mentre che ti sistemi puoi stare qui tanto non dai fastidio a nessuno, e poi una volta che ti sei rimesso in piedi potresti tornare a combattere. Piccoli incontri, magari per fare da vetrina a dei giovani pugili. Riproveresti il brivido di un tempo. Andiamo! hai sempre vissuto per questo. Non sei mai riuscito a farlo per i motivi che non so e non voglio sapere. Ora hai una seconda opportunità. – L’idea di Oreste inietta in Marco un qualcosa che non sentiva più da tanto tempo. Fiducia. Da quanto Filippo non c’è più nessuno è stato in grado di dare fiducia al ragazzo, neanche se stesso.
– Oreste, onestamente non so che dirti. Innanzitutto grazie, ti aiuterò volentieri qui, un lavoro mi serve, non voglio tornare per strada e tanto meno in carcere. Non so però se me la sento di combattere poi. –
- Va bene, non devi rispondermi adesso, tu pensaci, intanto andiamo a prenderci un bel caffè, e poi iniziamo subito a darci da fare –
Nelle settimane seguenti i due iniziano a riprendere un po’ alla volta vecchie routine di allenamento perse da tempo. Marco in carcere si era mantenuto tonico, ma la preparazione atletica per un combattimento è ben altra cosa che sollevare pesi arrugginiti. Però nel ragazzo poco alla volta stava iniziando a germogliare qualcosa di sano, di positivo, di buono.
Le settimane continuano a trascorrere e Marco e Oreste alzano sempre di più l’asticella
– Oreste, senti. Ci ho pensato parecchio. Voglio provare, magari mi ammazzano, chissene frega. Voglio provare a combattere di nuovo. – Oreste con un enorme sorriso compiaciuto che trapela dalla folta barba bianca esulta in una fragorosa e chiassosa risata.
– Molto bene ragazzo mio, molto bene. Ascolta, non volevo dirtelo prima per non metterti pressione. Spero che non mi riempirai di botte per questo. Ma io sono già quasi in parola per un incontro per te. –
- COSA?! – sussulta il ragazzo sul posto – Ma che stai dicendo? E quando sarebbe? –
- Tranquillo. Se ne parla a fine settembre. Abbiamo 6 lunghi mesi per rimetterci in sesto. Il tuo avversario può essere un problema magari – Con una mano il vecchio allenatore si accarezza la testa ormai quasi più senza capelli
- Oreste che significa può essere un problema contro chi diavolo devo combattere?-
- Beh, ecco… diciamo che viene descritto come il nuovo prospetto del pugilato italiano. Un po’ com’eri tu vent’anni fa. Diciamo che combatterai contro il “te stesso” di vent’anni fa, ecco ora te l’ho detto. –
Marco appresa la notizia si mette seduto. Il suo lato guidato dal raziocinio è visibilmente preoccupato, a testimoniarlo c’è l’aria sgomenta che ha invaso il suo volto. Dall’altro lato, però, quello del combattente, non sta già più nella pelle. Erano anni che non si sentiva così incredibilmente carico. Subito però ritorna con i piedi per terra, il suo trascorso gli suggerisce che qualcosa potrebbe andare storto, e poi senza il padre non è stato più in grado di combattere.
- Figliolo ti si legge in faccia. So che la cosa ti spaventa, chi non sarebbe spaventato. Ma ricordati chi sei! Io in tanti anni uno come te non l’ho visto più. Neanche questo che dovrai affrontare è forte come eri forte te. Credi in te, devi credere di potercela fare.- L’anziano allenatore fa per sedersi di fianco al ragazzo. – E poi… vedila così. Qualche soldo ti farebbe comodo. Ci sono io e i ragazzi della palestra che ci aiuteranno. Coraggio. –
Marco, senza dire una parola, si alza e va verso la parete di fronte dove ci sono gli enormi specchi a parete. Si fissa. Sa bene di non essere più quello di un tempo, si guarda allo specchio per provare a convincersi del contrario. I muscoli tesi e ben delineati di una volta ora sono appesantiti, ingolfati. Sarà durissima rimettersi in forma per affrontare un incontro. Però ormai l’idea di combattere di nuovo ha preso il sopravvento, lenta come un’ombra che inghiotte l’aria circostante di secondo in secondo avvolge anche le sue paure. Non è completamente libero, non è assolutamente convinto, non sa perché lo fa, ma sente il bisogno di accettare questa sfida. Si volta verso l’amico.
– Okay. Iniziamo .-
Continua...
di Vasco Maria Ciocci