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RicorGol: Come un pugno, parte VI - 2013

condividi su facebook condividi su twitter 30-11-2022

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RicorGol: Come un pugno, parte VI - 2013

Nelle puntate precedenti di "Come un pugno", racconto breve della rubrica RicorGOL: Tutto sembra compromesso: Marco è vicino a essere sconfitto dal nuovo campione della pugilato italiana, mentre allo stadio Olimpico la Roma non riesce a creare problemi alla Lazio e rischia un nuovo KO. Riusciranno i nostri protagonisti a ribaltare le loro situazioni?

Giorni nostri

Palestra del quartiere di Torre Angela - Roma

Marco non si aspettava minimamente di vedere la madre quel giorno in quel posto. Rossana dopo la morte di Filippo non aveva neanche più pronunciato la parola boxe o pugilato, o qualsiasi altra cosa che riconducesse al tema della pugilistica nel suo genere. La perdita del marito l’aveva in qualche modo gettata in uno stato di safe zone che escludeva tutto quello che riguardasse il pugilato. Inoltre negli ultimi anni di reclusione del figlio neanche aveva mai avuto la forza di andargli a fare visita. Ora però era lì, dopo anni i due si incontrano di nuovo.

La madre si avvicina al ring senza distogliere lo sguardo dal figlio. Rossana negli anni è cambiata. Il volto è stato trasformato dal dolore che ha patito. Il male dell’anima che è stata costretta a ingoiare giorno dopo giorno l’ha rovinata irreversibilmente. C’è il ricordo della bella donna che era, qualcosa di quella bellezza ha lottato per rimanere visibile nonostante tutto, nonostante la vita. Si avvicina al ring. Oreste la riconosce e non proferisce parola, conosce molto bene la donna quasi quanto Filippo, era molto amico della famiglia prima dell’incidente, la lascia avvicinare fino al bordo del ring.

- Mamma… -

- Marco. –

Qualche secondo di interminabile silenzio.

- Che ci fai qui? Non pensavo che saresti venuta –
- Cos’è ti dispiace di vedermi? –
- No, è solo che… - Marco non riesce a parlare alla madre. La vergogna e il rammarico gli intrappolano le parole in gola.
- Marco. Ascolta. Perché stai facendo questo incontro? –

Marco a questa domanda pensava di sapere dare una risposta. Fino ad ora. Ma la domanda della madre è andata a scavare più in profondità di quelle che credeva motivazioni sufficienti a formulare una risposta.

- Non importa il perché – Prosegue Rossana – Se non lo sai, o non ce l’hai un motivo te lo dico io. Redenzione figlio mio. Redimiti. Non sono venuta qui per portarti rancore, non te ne ho mai portato. Io sono sempre stata capace solo di amarti. Nonostante tutto, nonostante te. Questo rettangolo con le corde attorno per te e tuo padre ha sempre rappresentato una ragione di vita. Forse con papà le cose sarebbero andate diversamente. Una parte di te purtroppo è morta con lui quel giorno. Non te ne riesco a fare una colpa. Piuttosto forse la colpa è la mia, che non sono riuscita a proteggerti come avrei dovuto, a guidarti come sarebbe stato giusto, a starti vicino come sento che avrei dovuto fare ma non ho avuto la forza di farlo. Mi vergogno di questo, non penso di essere stata una buona madre e non credo di meritare il tuo perdono per questo, forse non riuscirò a perdonarmi neanche io stessa. Però oggi Marco redimiti. Cacciali via questi demoni maledetti che ti porti dietro, distruggili una volta per tutte. Fallo per me, fallo per te. Fallo per papà. Portalo con te su questo rettangolo. Non importa se vincerete o perderete. Perdonati. Perdonatevi. –

Le parole di Rossana lo svestono di una zavorra insopportabilmente pesante. Marco ora ha perso totalmente la parola. Non riesce a rispondere alla madre, che ancora una volta gli ha dimostrato la grandezza dell’amore che solo lei è stata capace di provare per lui. Le parole consolatorie della madre hanno reso polvere quello strato di nero dolore e sofferenza che nascondevano il Marco di un tempo. Ora il pugile è libero, denudato dalle colpe e dai rimorsi.

Stadio Olimpico - Roma

Nel frattempo di quel 22 settembre 2013, sulla fascia destro il capitano giallorosso  Francesco Totti infila un pallone apparentemente innocuo nell’area laziale. La palla attraversa quasi tutta l’area. Sembra innocua, fino a che un’ombra con i capelli biondi legati si scaraventa su di essa.

Il sinistro che Federico Balzaretti scaglia su quella palla innocua è violentissimo. Il pallone sfortunatamente si stampa sul palo. Balzaretti come Marco, ancora una volta deve vedersi chiudere la porta in faccia dal destino, il primo dopo circa due stagioni di infortuni e critiche, il secondo dopo una vita segnata dagli eventi. Il palo colpito, getterebbe chiunque nello sconforto. È un’altra occasione mancata. I pugni che ha preso Marco per sette riprese di fila e quelli che ha preso per tutta la vita spingerebbero chiunque a rinunciare. A gettare la spugna. Cos’altro si può fare? Dopo l’ennesima “sconfitta”, cos’altro deve fare un uomo?

Palestra del quartiere di Torre Angela - Roma

- Non ce dovevi nemmeno prova a salì qua sopra, oggi te mando a fa compagnia tu padre – dice carico di rabbia il pugile futuro campione alla ripresa del match trascorsi i minuti sanzionatori per il colpo disonesto rifilato poco prima.

Marco sta per commettere l’errore di cadere in quella trappola provocatoria, sente i muscoli irrigidirsi per scaraventarsi senza ragione sul suo avversario, quando d’un tratto sente una mano sulla spalla. Gli occhi si voltano appena.

Filippo è lì.

Sorride al figlio appena con accenno, i suoi baffi si sollevano quel tanto che basta per lasciare intravedere una smorfia di felice orgoglio. Gli fa cenno di stare calmo di guardare il suo avversario e si mette in posa di difesa di fianco al figlio.

Marco ha capito.

Il papà gli sta dando l’ultimo consiglio. Un’ultima volta su quel ring. Insieme.

Marco finalmente sorride.

- Che te ridi, scemo, mo te sfonno – e parte subito un primo colpo velocissimo. Marco quasi come fosse la cosa più naturale del mondo evita il colpo. Finora su quel ring le aveva solo prese. Adesso sembra un altro. È leggero. Il palo ormai l’ha colpito. Tante volte. Non gliene frega più niente però. Non ha più nulla da perdere. Il giovane avversario continua a sferrare colpi su colpi ma il pugile li evita e li respinge, si difende alla grande. Filippo al suo fianco lo guida in ogni centimetro del corpo. Sorridono insieme. Il legame che la morte ha provato a interrompere in tutti questi anni si sta lentamente riallacciando definitivamente, come filamenti sottilissimi che si congiungono uno alla volta, migliaia di filamenti che si intrecciano fino a diventare un corpo spesso, inseparabile.

Padre e figlio ora sono una cosa sola.

Le braccia e le gambe che prima sentiva intorpidite e stanche adesso neanche le sente più. Si muovono spinte da una forza che nessuno può pareggiare. La forza che nasce dal perdonarsi e dal perdonare.

Stadio Olimpico - Roma

L’azione riprende dal calcio d’angolo di destra. Il pallone dopo aver colpito il palo è tornato nell’area piccola e il difensore laziale la scaraventa in angolo. Sempre Capitan Totti va alla battuta. Accorcia su Pjanic, accorso in aiuto, che a sua volta restituisce il pallone al numero 10 della Roma. Tre passi. Cross. Morbido e leggero.

La palla ripercorre la stessa traiettoria di prima. Il destino porge il suo invito. Il ragazzo biondo con i capelli legati dietro si presenta un’altra volta. C’è il pericolo di prendere il palo un’altra volta? Certo che c’è. Deve esserci. Ma lui, così come Marco, questo lo sanno. Lo pretendono, non cercano scorciatoie facili, non sarebbe giusto. Devono farcela con quello che hanno.

Il sinistro esplode di nuovo, stavolta ancora più forte, stavolta ancora più violento.

Come un pugno.

Il pallone viene toccato appena dall’incolpevole Marchetti ma finisce in rete. Federico corre, corre con le braccia aperte e le mani chiuse nei pugni. Corre e urla, la gioia, le lacrime del momento sono come una cura per lui che in tutto questo tempo è stato sempre e solo criticato, sempre messo in discussione.

Corre Federico, non smette di urlare e piangere, corre verso la Curva Sud, e sia il popolo giallorosso che Federico si perdonano per tutto quel tempo di attesa, e tutte quelle parole dette con troppa leggerezza e troppa fretta.

Il ragazzo biondo con i capelli legati dietro stava riportando la chiesa al Centro del Villaggio.

Palestra del quartiere di Torre Angela - Roma

Marco si avvicina, inizia il contrattacco, prima destro, poi sinistro, ancora sinistro. Una pioggia, il suo avversario quasi come fosse preso alla sprovvista, incredulo, si difende, arretra. Non capisce cosa sta accadendo, ma di una cosa è certo, il vecchio pugile che aveva di fronte fino a pochi secondi fa non c’è più. Chi è questa furia bionda che gli si sta fiondando contro. Piega il corpo all’indietro, cosa sente? Cosa sta toccando con i reni? Sono le corde? Come ci è finito lì? La paura lentamente si insinua. La paura che in maniera vile ha provato a insinuare poco prima in Marco adesso sta diventando una lama a doppio taglio.

Ogni colpo diventa sempre più pesante, prima uno, poi un altro. Sembrano cannonate, le sente come tali addosso. La concentrazione che era riuscito a tenere finora perde di stabilità, le doti tecniche si offuscano di fronte a quella fredda violenza che quel vecchio pugile biondo sta scatenando su di lui, ogni colpo acquisisce una forza che ha del sovrannaturale. Fa per tentare una reazione e apre un varco nella difesa. L’occhio di ghiaccio del piccolo Rocky di Torre Angela vede quella strada aprirsi. Il sinistro che fa partire Marco è come un fulmine. Di una potenza inaudita. Il guantone nero si schianta contro il volto della giovane promessa del pugilato. Il pubblico presente rimane di sasso. Pietrificato da quello a cui sta assistendo. Il ragazzo vacilla tentando di rimanere cosciente ma è inutile le corde lo accompagnano a terra, impossibile provare a tirarsi su, l’arbitro inizia a contare. Marco semi incredulo si volta verso Rossana. La donna si è portata una mano sulla bocca e smette di trattenere l’emozione, si lascia andare. Il suo ragazzo è tornato, il papà è con lui. Lo sente Rossana, il volto di Marco somiglia a quello di Filippo come mai prima d’ora.

Vede ancora il papà sul ring insieme a lui. Sono sereni i due uomini sul quel rettangolo. Piano piano i rumori e clamore del palazzetto si assottigliano dentro la testa del vecchio pugile.

La forza che ha impresso in quel pugno è carica di una forza pulita. Svuotata dai troppi pesi che la frenavano.

Una forza che viene dall’amore che la madre gli ha dimostrato per l’ennesima volta anche quando pensava ormai di non meritarlo più.

Dalla fiducia che gli ha dato Oreste credendo in lui in quei mesi di duro allenamento.

Dal destino che tanto è stato capace di portargli via e tanto gli ha concesso di nuovo, oggi.

Dalla forza del perdono che è stato capace di concedersi nonostante tutto, nonostante questa vita sbagliata che l’ha fatto affondare.

Dal perdono che il padre, alla fine, al di là di tutto, è venuto a porgergli.

Finalmente è lui che ha colpito la vita stavolta.

- L’hai colpita forte Marco, l’hai colpita forte. – gli sussurra vicino Filippo.

Come un pugno.

di Vasco Maria Ciocci

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