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Finale 1980 - Nottingham Forest vs Amburgo 1 a 0

condividi su facebook condividi su twitter 27-02-2015

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Finale 1980 - Nottingham Forest vs Amburgo 1 a 0

PAOLO VALENTI - Il 1980 è l’anno di transizione tra due decenni molto diversi. L’onda lunga degli anni sessanta, piena di ideali e valori di rottura col passato, innerva i settanta di sviluppi e ramificazioni che, fatto il loro corso, vanno gradualmente a esaurirsi. I capelli lunghi dei figli dei fiori, modello estetico imprescindibile per chiunque volesse dimostrare il proprio spessore negli anni settanta, vanno sforbiciandosi a favore di capigliature più accurate e voluminose; la musica rock, dopo aver sperimentato le sue migliori declinazioni, si scioglie, in contemporanea con la disco, in un pop di massa di grande successo commerciale che ai più raffinati cultori musicali fa storcere il naso. In Italia, la stagione degli anni di piombo, culminata con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro nel 1978, vive i suoi ultimi bagliori. Quando, il 28 maggio 1980, al Santiago Bernabeu di Madrid si gioca la finale di Coppa dei Campioni, la strage di Ustica e quella di Bologna sono due buchi neri che non hanno ancora segnato il loro passaggio nella storia del nostro paese, tra gli ultimi di un lungo elenco che negli anni ottanta andrà ad esaurirsi.

L’UEFA celebra la venticinquesima finale della Coppa dei Campioni nello stadio della squadra che ne ha vinte di più. Quella sera, però, in campo ci sono il Nottingham Forest, detentore del trofeo, e i tedeschi dell’Amburgo, formazione in forte ascesa nella geografia calcistica nazionale ed europea, che vanta tra le sue fila campioni come Manfred Kaltz, Felix Magath, Horst Hrubesch e lo “straniero” Kevin Keegan, alla sua seconda finale dopo quella vinta tre anni prima col Liverpool. E’ stato proprio l’Amburgo a chiudere le porte della finale ai padroni di casa a seguito di un doppio confronto nel quale, dopo un passivo di 2-0 difficile da ribaltare, i tedeschi hanno schiantato la resistenza delle merengues al Volksparkstadion con un sonoro 5-1 che li ha portati al Bernabeu con i favori del pronostico.

Il Nottingham Forest, alla sua seconda finale consecutiva, ha eliminato l’Ajax di misura e si avvicina al match clou con più speranze che certezze. Probabilmente Brian Clough legge nella testa e nelle gambe dei suoi la stanchezza di una doppia stagione giocata ai vertici e decide di spendere la settimana prima della gara decisiva in ritiro. Un po’ particolare, a dire il vero: innanzitutto per il posto, che non è una location di montagna né la sede degli allenamenti ma l’isola di Maiorca. E poi perché, in quella settimana, i giocatori tutto fanno tranne che allenarsi: sole, mare, birra, giochi, probabilmente qualche ragazza per divertirsi e allentare la tensione di un incontro che, contrariamente all’anno passato, sulla carta li vede soccombenti anche per l’assenza del match winner del 1979, Trevor Francis, alle prese con uno degli innumerevoli infortuni della sua carriera.


Tra i calciatori dell’Amburgo l’unico a nutrire qualche timore è, forse non a caso, uno dei due stranieri della squadra, Keegan. Nel tunnel che porta all’ingresso in campo, King Kevin si rivolge a Larry Lloyd, uno dei rudi difensori centrali inglesi: “Non mi punterete alle caviglie, vero?”. Lloyd, a cui Brian Clough ha categoricamente vietato di rivolgere parola a Keegan, risponde tenendo le consegne: “Io non posso parlarti, magari chiedi a lui” dice alludendo al compagno di reparto Burns. Keegan si volta per guardarlo proprio nel momento in cui il difensore scozzese digrigna i denti, mostrandoglieli con una grinta che tende alla minaccia
Usciti dal tunnel, il tempo dei convenevoli passa veloce mentre le ultime gocce di tensione diventano energia che innerva i muscoli e acuisce i sensi. Dopo le prime schermaglie, al ventesimo minuto il Nottingham Forest passa in vantaggio: John Robertson, ancora lui, parte dalla sinistra verso il centro, ottiene un triangolo al limite dell’area e scarica un destro preciso che si infila alla sinistra del portiere Kargus. Da questo momento la partita diventa un monologo a senso unico: l’Amburgo  assedia nella propria metà campo gli inglesi con assalti continui che solo un Peter Shilton che sembra l’uomo ragno riesce a fronteggiare. Ci provano tutti: Kaltz, Buljan, Miliewski, Nogly e Felix Magath con tiri da lontano e ravvicinati, potenti o precisi.

I tedeschi, caparbi fino alla fine, sembrano impossibili da fermare per i dieci ragazzi con le maglie di Garibaldi che arrancano per il campo, incapaci di evitare al loro portiere di diventare l’eroe invincibile della serata. E’ su quei 183 centimetri su cui si arrampicano 82 chili di muscoli che si infrangono i sogni di gloria di una squadra arrivata a Madrid forse troppo convinta di essere superiore. Shilton sembra essere ovunque e, se non c’è, ci arriva: dopo ogni intervento sbatte i guanti, applaude per farsi i complimenti e trasmettere orgoglio ai compagni che sembrano poter capitolare in qualsiasi momento. Grazie a lui, che a fine anno sarà riconosciuto come miglior giocatore inglese dai propri colleghi, il Nottingham Forest rimane sul tetto d’Europa, prima squadra nella storia a vincere due Coppe dei Campioni grazie alla conquista di un solo titolo nazionale.

E’ il momento più alto nelle avventure di una squadra che, fino a quattro anni prima, militava nella seconda divisione inglese. Dopo quella notte, infatti, niente sarà più come prima per il Nottingham, che collezionerà solo piazzamenti più o meno dignitosi fino a conoscere anche l’anonimato della terza serie inglese.
I giovani di oggi, avvezzi alle immagini della sola Premier League, del Nottingham Forest probabilmente non conoscono nemmeno l’esistenza. Per i ragazzi di ieri, invece, quelle maglie rosse drappeggiano il ricordo di un’epopea diventata storia. 

   

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