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Johan Cruijff, il Profeta del Gol (IIa Parte)

condividi su facebook condividi su twitter 14-09-2015

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Johan Cruijff, il Profeta del Gol (IIa Parte)

PAOLO VALENTI - SECONDA PARTE - Dopo un tira e molla di qualche settimana, alla fine Cruijff ottenne ciò che voleva e si accasò in Catalogna. Fu l’ennesimo successo: dopo quattordici anni di astinenza, il Barcellona tornò a vincere il campionato, sconfisse al Bernabeu il Real per 5-0 e Johan fece un gol con una rovesciata di tacco contro l’Atletico Madrid che gli fruttò il soprannome di Olandese Volante. Tutto era pronto per disputare un Mondiale da protagonista. Cosa che effettivamente avvenne: Cruijff era il capitano di una squadra che divulgò al mondo intero il concetto di calcio totale, basato sull’occupazione degli spazi, l’intercambiabilità dei ruoli, il pressing alto e la squadra che si muove corta in un segmento di trenta metri. Era una squadra stupefacente, che giocava un calcio che viaggiava a metà tra la bellezza e la forza, la tecnica di interpreti sopraffini e le loro doti fisiche addestrate da concezioni innovative che accorciavano i tempi di allenamento incrementandone l’intensità. Il percorso verso la finale fu un’esibizione continua che sembrò continuare anche il sette luglio 1974 contro la Germania Ovest. Nel primo minuto di gioco i tedeschi guardarono gli Orange passarsi il pallone e arrivare in area per prendersi un rigore proprio con Cruijff. Lo trasformò Neeskens ma da lì in poi l’incantesimo si interruppe e la Germania ribaltò il risultato. Niente Coppa del Mondo per il Profeta del Gol ma, a fine anno, il terzo pallone d’oro della carriera, dopo quelli del 1971 e del 1973, ne consacrò ulteriormente la dimensione internazionale.   
Quella splendida squadra, che stava rivoluzionando il mondo del calcio come un ’68 caduto nel pieno degli anni cinquanta, ebbe l’occasione di raggiungere un titolo agli Europei del 1976 in Jugoslavia. Lo spogliatoio, però, era diviso, e a queste divisioni la personalità di Cruijff contribuì non poco. Il risultato fu un terzo posto che, seppur prestigioso, sembrò ancora una volta inadeguato al valore degli Orange.
Anche col Barcellona, dopo la partenza di Rinus Michels, affiorarono tensioni: il nuovo allenatore, Hennes Weisweiler, considerava Johan alla stregua degli altri elementi della rosa. Come pensare che un trattamento del genere potesse andare a genio al Pelè Bianco, che a un giovane Valdano, che aveva provato a interromperne le proteste verso un arbitro della Liga, disse:”A ventun’anni a Cruijff si da del lei”. Il braccio di ferro portò il club a richiamare sulla panchina Michels. Ma il feeling col Barcellona era rotto definitivamente.
Arrivò così il Mondiale del ‘78. Per Cruijff, e per tutta la nazionale olandese, era l’occasione per riscattare la sconfitta tedesca di quattro anni prima. Ma Johan, pochi mesi prima dell’inizio della manifestazione, decise di non partecipare, dando anche l’addio al calcio. Diverse furono le interpretazioni date a quel gesto: dai dissapori con la Federazione a una presunta protesta contro il regime argentino fino al timore di subire un rapimento. Secondo le più recenti dichiarazioni rilasciate pochi anni fa, in realtà sembra che quella decisione derivò semplicemente dalla mancanza di stimoli a dare il massimo in una competizione come il mondiale. Fatto sta che all’improvviso, a soli 31 anni, il calcio dovette rinunciare al miglior giocatore che l’Europa avesse mai partorito. Quanto meno per un anno e sulla ribalta dei palcoscenici migliori. Si perché Cruijff, da buon olandese figlio di commercianti, il profumo degli affari l’ha sempre saputo annusare. Consigliato anche dal suocero, nel 1979 decise di attraversare l’Atlantico per provare a lanciare il soccer negli States insieme ad altri campioni a fine carriera, a fronte di cospicui ingaggi. L’esperienza americana, a cavallo tra la East e la West Coast, durò due anni, al termine dei quali Johan decide di essere ancora in grado di dire la sua nel calcio europeo. Nel giugno dell’81 fece anche una fugace, anonima apparizione a San Siro con la maglia del Milan nel Mundialito per Club organizzato da Berlusconi. Tornò definitivamente in Olanda a vestire la maglia del suo primo club, l’Ajax, per due stagioni, vincendo altrettanti campionati. L’ultimo titolo fu quello conquistato con gli eterni rivali del Feyenoord giocando nell’inedito ruolo di libero e facendo da chioccia a Ruud Gullit. Nel 1984, a trentasette anni, arrivò il momento di chiudere definitivamente l’armadietto dello spogliatoio.
Uno così, però, non poteva smettere di dare il suo contributo al calcio. Neanche un anno dopo il suo ritiro, venne chiamato sulla panchina dell’Ajax in sostituzione di Leo Beenhakker. Due anni e mezzo gli furono sufficienti per vincere due coppe d’Olanda e la Coppa delle Coppe. Arrivò così la proposta del Barcellona, che Cruijff accettò nel maggio del 1988 portando la rivoluzione: la rosa della squadra venne rifatta dalle fondamenta. Andarono via tutti quei giocatori di poca base tecnica o con un’idea di squadra non in sintonia con quella del nuovo allenatore, convinto che il talento dovesse seguire delle regole senza per questo esserne sminuito. L’impatto fu forte ma negli otto anni in cui Cruijff allenò i catalani vennero raggiunti risultati mai ottenuti in precedenza: quattro campionati consecutivi, una Coppa del Re, una Coppa delle Coppe. Ma, soprattutto, la prima Coppa dei Campioni, vinta a Wembley nei supplementari contro la Sampdoria di Boskov, Vialli e Mancini. Cruijff impostò le basi di un lavoro, una mentalità che ancora oggi il Barcellona gestisce come un’eredità preziosa: l’importanza della tecnica di base, necessaria per avere il controllo della palla più dell’avversario (“Senza possesso palla, non si vince”); la necessità di allenarsi cercando di andare oltre i propri limiti (“In ogni allenamento devi andare oltre quello che sul momento ti sembra il tuo limite”); e, infine, il valore dell’educazione intesa come rispetto, disciplina, istruzione sportiva (“Per me, se uno non è educato, non gioca”). L’Olandese Volante ha lasciato un patrimonio culturale di altissimo livello che il Barcellona ha saputo capitalizzare negli anni, raggiungendo risultati sportivi di eccellenza e costruendo un’immagine positiva che si traduce in cifre di fatturato enormi. Per certi versi si può sostenere che Cruijff sia stato un precursore della responsabilità sociale d’impresa applicata ad una società di calcio. La coscienza della sua intelligenza, del suo saper vedere oltre, l’ha talvolta portato a superare il confine della consapevolezza per entrare nel territorio della presunzione: momenti che ha pagato a caro prezzo, come quando, nel 1994, perse sonoramente la finale di Coppa dei Campioni contro il Milan di Capello, considerato alla stregua di una squadretta pochi giorni prima dell’incontro. Ma sapere di avere doti fuori dal comune può talvolta portare a qualche episodico scivolone. Le grandi idee, invece, si proiettano nel futuro, rimangono a fondamenta di una comunità, si declinano in funzione dei cambiamenti dei tempi senza venire rinnegate. E’ per questo che Johan Cruijff, il Pelè Bianco, il Profeta del Gol, ha detto:”Non penso che arriverà il giorno in cui, quando si parla di Cruijff, la gente non saprà di cosa si stia parlando.

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Fonte: A cura di Paolo Valenti

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