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Sogni di mezza estate

condividi su facebook condividi su twitter 12-07-2015

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Sogni di mezza estate

 “Spiagge, di cocco e di granite, di muscoli e bikini, di straniere e di bagnini; quel disco nel juke box suona la tua canzone”. Nell’estate del 1983 la canzone di ogni tifoso della Roma non poteva essere quella di Renato Zero. E nemmeno le hit dei Righeira o di David Bowie. Allontanati dalla città nelle più disparate zone di villeggiatura, in quell’estate da Campioni d’Italia i romanisti avevano in mente solo le note di pianoforte che accompagnavano l’unica canzone che avevano voglia di sentire all’infinito: Grazie Roma. Forse patetici agli occhi degli altri, certamente col rischio di risultare monotematici ai limiti del compulsivo, esportavano in tutta la penisola l’ebbrezza data loro dalla gioia della vittoria del campionato dopo quarantuno anni.Una vittoria che interrompeva la dittatura di affermazioni delle squadre di Milano e Torino, le uniche capaci di primeggiare dopo lo scudetto della Lazio nel 1974. Una vittoria alla quale vennero dati forse troppi significati ma con la quale la squadra superava l’esame di laurea per proiettarsi nell’Europa dei grandi club, quella della Coppa dei Campioni.

L’ambizione del presidente Viola aveva contagiato la città: nonostante la Roma fosse all’esordio nella massima competizione continentale, l’aspettativa di tutti era quella di competere per vincere. Se non altro perché la finale era prevista il 30 maggio del 1984 proprio all’Olimpico di Roma e la sensazione condivisa era quella di dover sfruttare un’occasione che sembrava davvero unica. La squadra, per raggiungere quell’obiettivo, aveva bisogno di ottimizzazioni che ne elevassero il tasso tecnico e la caratura internazionale. Fu così che lasciarono la capitale Herbert Prohaska, un vero signore, e Maurizio IorioPietro Vierchowod, il russo, partì per necessità, richiamato alla base dall’ambiziosa Sampdoria di Mantovani, proprietaria del suo cartellino. Per rimpiazzarne le caratteristiche di forza e velocità arrivarono Dario Bonetti e Emidio Oddi, mentre in attacco la scelta della punta da affiancare a Pruzzo cadde su Ciccio Graziani, campione del mondo con esperienza e peso specifico da trasferire sul fronte offensivo. Mancava la ciliegina sulla torta. Viola non aveva mai definitivamente smesso di sognare Zico e i giornali tornarono a parlarne come di un possibile acquisto di quella sessione di calciomercato. Alla fine, però, Zico andò a Udine e la Roma scelse di puntare tutto nella zona mediana del campo, quel luogo dove gli allenatori di ogni tempo hanno sempre detto che si vincono le partite. Un centrocampo che si avvaleva già della classe di Conti, del dinamismo tecnico di Ancelotti, dell’impareggiabile regia di Falcao venne arricchito così della presenza di un altro titolare della nazionale verdeoro. Quando si diffuse la notizia che la Roma aveva siglato un contratto con Toninho Cerezo, rivincere il campionato sembrò, per una piazza ancora stordita dalla vittoria del 15 maggio, poco più di una formalità. La Coppa dei Campioni, certo, quella era un’altra storia. Ma la fiducia era tanta, la voglia di vedere il Brasile all’Olimpico alla luce dei riflettori del mercoledì sera un’attrazione senza fineVamos a la plaia, cantavano i Righeira nell’estate dell’83. Coppa dei Campioni, facevano eco i tifosi giallorossi sullo note dello stesso ritornello. Accarezzavano un sogno che si infranse nella notte dell’ultimo esame.

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