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Roberto Baggio, il Divin Codino (Seconda Parte)

condividi su facebook condividi su twitter 13-10-2015

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Roberto Baggio, il Divin Codino (Seconda Parte)

PAOLO VALENTI - SECONDA PARTE - Nel 1994 è di nuovo la nazionale a portare Baggio alla ribalta. E’ l’anno dei mondiali negli States e gli azzurri attraversano l’Atlantico per vincere il titolo. Matarrese, abbagliato dal Milan stellare costruito dal tecnico di Fusignano, ha chiamato sulla panchina Arrigo Sacchi con la convinzione di poter rivedere l’Italia esprimere lo stesso gioco. L’esordio, però, è di quelli che fanno preoccupare: gli azzurri perdono 1-0 contro l’Eire fornendo una prestazione fiacca. La seconda partita contro la Norvegia è già da dentro o fuori e le cose sembrano mettersi subito male: dopo 21 minuti viene espulso Pagliuca e, per lasciar spazio al subentrante Marchegiani, Sacchi decide di togliere Baggio. Sorpreso, deluso, arrabbiato, il numero dieci, passeggiando lentamente verso la panchina, dà platealmente del matto al suo allenatore. Sembra la fine di tutto ma gli azzurri, sfoderando una prestazione maiuscola per grinta e orgoglio, riescono a vincere e alla fine, dopo uno scialbo pareggio col Messico, passano agli ottavi di finale. Ed è qui che comincia il mondiale di Baggio. Più precisamente a due minuti dalla fine della partita contro la Nigeria, in vantaggio per 1-0 e ormai sicura di aver raggiunto un obiettivo storico, un preciso diagonale del numero dieci va a morire nell’angolo destro del portiere africano. Ai supplementari la nazionale, in inferiorità numerica per una folle espulsione comminata allo sfortunato Zola, si aggrappa ancora a Roberto per segnare il rigore che ci porta avanti in un mondiale dal clima rovente per temperature ed emozioni. Che non mancano nemmeno nei quarti con la Spagna, dove il talento che si ammanta del numero in uso ai poeti del calcio, spinge l’Italia tra le prime quattro del mondo con la solita prodezza a due minuti dal novantesimo e si ripete in semifinale, quando gli bastano quattro minuti per bruciare le velleità di una sorprendente Bulgaria.
I media americani, alla continua ricerca di eroi da schiantare in prima pagina, trovano nell’Italian Buddhist pony tailed il fenomeno di cui hanno bisogno. Baggio riempie le pagine di USA Today e delle copertine dei magazine, dove i suoi primi piani sottolineano l’intensità di occhi che combinano concentrazione, sofferenza e visione.
Per il Divin Codino l’ultimo atto di Pasadena è il coronamento di un sogno:”Da bambino – ha confessato anni dopo – ho sempre immaginato di giocare la finale dei mondiali col Brasile”. L’Italia arriva fisicamente stremata al traguardo; Baggio, nella semifinale con la Bulgaria, accusa uno stiramento che non è possibile guarire in quattro giorni. Ma contro i verdeoro vuole giocare a tutti i costi: sa di essere all’apice della carriera e quella partita è, come dicono gli argentini, el sueno del nino al quale non può rinunciare. Né Sacchi se la sente di farlo fuori: il selezionatore sa che gli azzurri sono arrivati fin lì grazie alle sue magie. Ma è proprio lui a negare il lieto fine al suo sogno, calciando uno dei rigori più sciagurati della sua carriera nel blu del cielo californiano. Un errore che ancora oggi Baggio non riesce ad accettare, nonostante la pratica del buddhismo e la sua intelligenza lucida. Quel rigore che, in fondo, fa da emblema alla sua storia professionale nella quale ha sempre dovuto pagare il prezzo del suo talento purissimo con dosi di sofferenza e delusione altrettanto intense.  
Nei quattro anni che separano USA 94 da Francia 98 la carriera del Codino sembra avviata al viale del tramonto, complice l’ascesa di Alessandro Del Piero, gli acciacchi che non gli danno tregua, la concorrenza spietata delle squadre in cui gioca ed il rapporto non idilliaco con allenatori duri come Lippi e Capello. Alla fine del campionato 1994-95, dopo aver finalmente vinto il suo primo scudetto, Baggio lascia la Juve per approdare al Milan. Due anni difficili, una decina di gol a stagione e Sacchi che lo fa fuori dai ventidue che andranno agli Europei in Inghilterra. Per tornare in nazionale Roberto punta sul Bologna: ha bisogno di giocare con continuità, senza essere messo ogni domenica in discussione, per dimostrare a Cesare Maldini, nuovo selezionatore azzurro, di poter essere ancora utile alla causa. Ne viene fuori una stagione strepitosa: 30 presenze con 22 reti lo portano dritto al mondiale transalpino alla condizione di sapere, come gli comunica a quattr’occhi Maldini stesso, di essere l’alternativa di Del Piero. Baggio non fa una piega: all’inizio della stagione la convocazione nei ventidue non era affatto scontata e sa che, nell’arco della competizione, del suo talento ci sarà bisogno. Un talento che già brilla nella prima partita, 2-2 col Cile, assist per Vieri e gol su rigore. Altro gol nella partita vincente con l’Austria. L’Italia passa il turno, passa anche gli ottavi e si ritrova ai quarti a dover arginare le velleità di grandezza dei padroni di casa. Del Piero parte titolare ma non è in gran condizione. La partita è una battaglia, equilibrata, tesa: i francesi giocano meglio ma ci temono, riusciamo a fare muro, la difesa non cede un centimetro. Per sfruttare le ripartenze e il suo stato di forma, Maldini al 67° minuto fa entrare Baggio. La partita va ai supplementari, agonismo e tensione logorano giocatori e spettatori. Ci vuole una magia per evitare che l’approdo alle semifinali passi per la tortura dei rigori. La magia la tira fuori ancora una volta lui, a trentun anni, con un fisico da ragazzino martoriato da incidenti e operazioni, su un assist a palombella di Albertini che taglia un possibile intervento dei difensori. Palla a spiovere, Baggio anticipa il suo marcatore e al volo di esterno destro incrocia sul secondo palo un diagonale che sembra comandato in rete. Sembra, perché ancora una volta il talento di Roberto costa sofferenza e delusione: la palla esce di pochi centimetri dopo aver fermato per un secondo il battito dei cuori di milioni di francesi. Questa volta, ai rigori, Baggio fa il suo ma è l’ultimo episodio della sua storia ai mondiali: ci penserà un altro compagno a sbagliare il tiro che elimina, per la terza edizione consecutiva, gli azzurri dalla competizione.
Al rientro in Italia, Baggio cambia nuovamente maglia: va all’Inter per due anni prima di chiudere la carriera a Brescia dove, in quattro anni, tra le solite finezze e le ultime sofferenze fisiche (nei due giorni successivi alla partita Roberto cammina a stento per i dolori alle ginocchia senza riuscirsi ad allenare),  ha modo di conoscere Carlo Mazzone, uno dei pochi allenatori coi quali riesce ad avere un rapporto di reciproca stima.
La nazionale lo saluta con un’ultima convocazione di omaggio alla carriera il 28 aprile 2004. Già, la nazionale: l’unica maglia che Baggio abbia sentito addosso come una seconda pelle. Quella che sicuramente gli donava di più, consentendogli di mostrare al mondo la delicatezza cristallina  della sua classe unica. Quella che ha dato risalto alla profondità espressiva dei suoi occhi chiari che hanno saputo volare su tutte le battaglie combattute per vivere una lunga, meravigliosa storia di calcio.

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Fonte: a cura di Paolo Valenti

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