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Coronavirus, la Serie A diventa una prigione, tanti stranieri tentati dalla fuga

condividi su facebook condividi su twitter Redazione 13-03-2020 - Ore 16:14

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Coronavirus, la Serie A diventa una prigione, tanti stranieri tentati dalla fuga

REPUBBLICA.IT - Cristiano Ronaldo è in Portogallo, accanto alla madre. Dybala è in quarantena con i suoi compagni. Ibrahimovic resta a Milano. Eriksen ha più malinconia di prima. Da eroi e idoli di centinaia di milioni di tifosi a uomini improvvisamente vulnerabili come tutti gli altri, anche i campioni della serie A stanno vivendo ore di stress: completamente diverso da quello, legato alle partite, al quale sono abituati. Di colpo segregati al chiuso, senza potersi allenare e senza sapere davvero fino a quando potrà durare questa dimensione di limbo sempre più simile a un coprifuoco, scoprono un'inquietudine difficile da controllare. E non è un segreto che tra gli oltre 500 calciatori del massimo campionato ci sia chi - soprattutto tra gli stranieri, che rappresentano quasi il 60 per cento del totale - sta valutando addirittura la soluzione estrema: la rescissione del contratto e il ritorno a casa il più presto possibile, fermo restando che le restrizioni del decreto governativo sugli spostamenti impediscono per il momento qualunque partenza.

Una cosa è comunque certa: la pandemia in atto, certificata dall'Oms, ha tra gli innumerevoli effetti collaterali lo stravolgimento del mercato calcistico per la stagione successiva, che di solito comincia a decollare proprio in marzo. Le conseguenze evidenti sono di segno opposto: da un lato il congelamento delle strategie della campagna acquisti da parte dei club, dall'altro la spinta di qualche giocatore ad accelerare la propria fuga dal calcio italiano. Trattandosi nei casi più rilevanti di ingaggi netti a sei zeri, la questione può rischiare di diventare presto materia legale: i calciatori hanno ricchi contratti da rispettare e non vogliono perdere soldi a cuor leggero, le società in crisi finanziaria non possono perdere i loro campioni senza adeguato indennizzo.

La tentazione della fuga  

I casi più "semplici" riguardano chi ha il contratto in scadenza a giugno. La sospensione del campionato e le incognite sulla ripresa dell'attività potrebbero spingere i diretti interessati a rinunciare alla parte residua del contratto, raggiungendo una transazione economica con la società, per la quale il danno sarebbe limitato alla mancata partecipazione del giocatore in questione alle eventuali partite che rimangono. La tentazione è forte. Diverso è il caso dei contratti pluriennali. "In questo momento non sussistono i presupposti per la risoluzione", puntualizza l'avvocato Umberto Calcagno, vicepresidente dell'Aic, l'associazione calciatori. La legislazione che regola i rapporti di lavoro dei calciatori professionisti in Italia è appunto quella italiana, che contempla come motivazione per la risoluzione del contratto (da una qualsiasi delle due parti che lo hanno stipulato) "la sopravvenuta impossibilità della prestazione": nello specifico, la chiusura definitiva dei campionati, che per ora, invece, sono soltanto sospesi. Anche se questa stagione dovesse concludersi in anticipo, il giocatore con contratto pluriennale rimarrà dunque normalmente vincolato al proprio club per quella successiva (o per quelle successive, a seconda della durata dell'accordo).

Divorzio: la pandemia non basta

L'ipotesi di un ricorso alla Fifa, cioè al livello sovranazionale, non è in teoria praticabile: esiste in Italia un organo indipendente che ha giurisdizione in materia e rispetta i requisiti richiesti: il Collegio Arbitrale, composto da un Presidente e da due Arbitri, nominati dalle due parti in causa. Detto che il solo caso in Italia finito davanti alla Fifa e poi al tribunale di Losanna è finora quello del 2013 tra l'argentino Mauro Zarate e la Lazio, secondo le norme Fifa, e in base ai precedenti, gli eventi eccezionali considerati "cause di forza maggiore" e validi per la risoluzione di un contratto, sono comunque la guerra (è accaduto per quella civile in Egitto) o epidemie come il virus Ebola in Africa. L'attuale pandemia non farebbe parte al momento della fattispecie. "Non è detto che lo stato pandemico comporti la sospensione dei campionati e non postula lo scioglimento del rapporto subordinato", precisa Paco D'Onofrio, docente di diritto pubblico all'Università di Bologna e avvocato specializzato in diritto sportivo.

Concorrenza selvaggia                                         

Resta il fatto che il prossimo mercato estivo potrà essere pesantemente condizionato da due fattori: la perdita di valore dei calciatori, che non giocando si svalutano via via, e l'annessa possibilità che i club ne approfittino per sfruttare la legge non scritta della concorrenza: per un calciatore sotto contratto che abbia la certezza di potere trovare una squadra e un ingaggio di suo gradimento, sarà più semplice fare pressione sul proprio club, magari facendo leva sulla volontà di tornare in patria e spuntando così una cessione più economica. Per esemplificare, se prima del coronavirus una trattativa partiva da 50, d'ora in poi può partire da 25. Ma tutto questo, naturalmente, riguarda il calcio di vertice. Più si scende di categoria, più i problemi sono ben altri. In serie C, dove i contratti in scadenza a giugno sono numerosi, sono più facilmente le società a spingere per la rescissione anticipata, in modo da risparmiare in questa delicata fase di contrazione degli introiti. E in serie B, malgrado la stretta del decreto governativo, non poche società premevano perché i giocatori continuassero a presentarsi al campo di allenamento.

Fonte: REPUBBLICA.IT

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